Contagio da coronavirus come infortunio sul lavoro: come stanno davvero le cose
Non mancano le preoccupazioni tra gli imprenditori italiani alla riapertura delle aziende. Tra queste, la possibilità che un dipendente contragga il coronavirus, in quanto il contagio è considerato come infortunio sul lavoro e potrebbe risultare in un procedimento penale per reato di lesione o addirittura di omicidio colposo, in caso di decesso del lavoratore. I datori di lavoro temono che, anche attuando tutti i protocolli di sicurezza, possano finire coinvolti in vicende legali in cui la loro responsabilità difficilmente sarà oggettiva: il periodo di incubazione del Covid-19, che può arrivare anche a due settimane, impedisce di avere certezze sul luogo di contagio. I cittadini passano 8 ore al giorno nel luogo di lavoro, certo, ma potrebbero contrarre il virus anche in autobus, al supermercato, piuttosto che tramite il contatto con i familiari. Ma le parti sociali insistono: no all'ipotesi di uno scudo penale, che potrebbe finire per proteggere anche chi non rispetta tutte le norme di sicurezza anti-contagio. Ma vediamo come stanno le cose.
Il contagio nel luogo di lavoro come infortunio
A stabilire che il contagio da parte di un lavoratore venga trattato come un infortunio sul lavoro è l'articolo 42 del decreto Cura Italia, che tratta le disposizioni all'Inail, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Nei casi di infezione in occasione di lavoro, si legge nel decreto, "il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato". Non solo, ancha una circolare dell'Inail dello scorso 3 aprile, fornendo alcune precisazioni ha confermato che il contagio da parte di un lavoratore vada trattato come infortunio sul lavoro, e in quanto tale dia diritto alle prestazioni assicurative dell'Inail.
"La disposizione in esame, confermando tale indirizzo, chiarisce che la tutela assicurativa Inail, spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell'esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all'Inail", si legge nella circolare.
I timori degli imprenditori
Come ha spiegato in un'intervista a Repubblica il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe, gli imprenditori non contestano il fatto che venga riconosciuto un indennizzo da parte dell'Inail al lavoratore che ha contratto il coronavirus, ma temono che questo possa risultare in una responsabilità penale. Che ci deve essere, ha sottolineato Stirpe, solo nei casi in cui sia accertato un collegamento tra il contagio e una colpa o una mancanza da parte del datore di lavoro. In altre parole, chi applica tutte le misure anti-contagio e segue alla lettera il Protocollo per la sicurezza non deve poter finire in un tribunale.
In questo senso, il numero due di Confindustria ha evidenziato le difficoltà nel risalire all'esatto momento del contagio, per cui ci saranno sempre dei dubbi sul fatto che questo sia avvenuto sul lavoro. Un lavoratore potrebbe contrarre il virus anche in altri contesti, e non sarebbe giusto che ne dovesse rispondere l'imprenditore che ha seguito punto per punto la normativa e fatto tutto ciò che era richiesto per la tutela dei dipendenti, ha aggiunto Stirpe.
Cosa dicono i sindacati
Uno scudo penale, tuttavia, non è una soluzione accettabile secondo le parti sociali. I sindacati ritengono infatti legittima la tutela da parte dell'Inail a favore dei lavoratori che vengono contagiati e si dicono contrari all'introduzione di uno scudo che potrebbe finire per proteggere anche quegli imprenditori che non implementano tutte le misure di sicurezza per questioni economiche. "Riteniamo che i moltissimi imprenditori onesti, che hanno a cuore la salute dei propri dipendenti, non hanno da temere nulla da queste disposizioni e non trarrebbero alcun beneficio da uno scudo penale generalizzato, che avvantaggerebbe soltanto chi, ancor prima della pandemia, considerava e considera le norme sulla prevenzione e sicurezza nei posti di lavoro, come un costo da comprimere e non un investimento", ha detto Silvino Candeloro, del collegio di presidenza Inca Cgil.
Il chiarimento dell'Inail
Ci ha poi pensato l'Inail a fare chiarezza. In una nota ha spiegato che il riconoscimento della tutela nei confronti del lavoratore contagiato non presuppone automaticamente una responsabilità penale da parte del datore di lavoro. "Il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso".
In conclusione, quindi, la responsabilità penale da parte dell'imprenditore sarà chiamata in causa solo in presenza di prove che testimoniano un dolo o una colpa da parte del datore di lavoro, risultati nel contagio di un dipendente. I criteri secondo i quali vengono accertate queste prove, tuttavia, sono completamente diversi da quelli rispetto ai quali l'Inail riconosce il diritto alle prestazioni assicurative da parte di un lavoratore che ha contratto il coronavirus.