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Consulta riapre il caso Siri: Senato non poteva negare uso delle intercettazioni dell’ex sottosegretario

La Corte costituzionale ha stabilito che il Senato sbagliò a vietare alla Procura di Roma l’utilizzo di otto intercettazioni tra il senatore e sottosegretario Armando Siri e l’imprenditore Paolo Arata. Siri è accusato di corruzione per l’esercizio della funzione. Ora il tema delle sue intercettazioni dovrà tornare a Palazzo Madama.
A cura di Luca Pons
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A cinque anni dalla sua rimozione dal ruolo di sottosegretario nel primo governo Conte, il caso giudiziario dell'ex senatore della Lega Armando Siri non è ancora concluso. La Corte costituzionale ha deciso che il Senato sbagliò a negare al giudice per l'udienza preliminare l'utilizzo di otto intercettazioni telefoniche, che avevano registrato una conversazione tra Siri e l'imprenditore delle energie rinnovabili Paolo Arata. Dunque ora la questione dovrà tornare a Palazzo Madama, mentre il processo attende.

Chi è Armando Siri e di cosa è accusato

Armando Siri, che è ancora consigliere economico di Matteo Salvini, è imputato per corruzione per l'esercizio della funzione. L'emergere dell'indagine a suo carico nel 2019 portò, dopo alcune settimane di accese polemiche tra il Movimento 5 stelle e la Lega (allora partner di governo) alla revoca del suo incarico come sottosegretario ai Trasporti. Alla fine del 2020, la Procura di Roma chiese il rinvio a giudizio. A marzo 2022, tuttavia, il Senato votò contro l'utilizzo – da parte dei giudici – di otto intercettazioni che riguardavano lo stesso Siri. Intercettazioni che, però, erano state cruciali per l'indagine.

Infatti, l'inchiesta su Siri era nata a Palermo, dove la Procura stava indagando sull'imprenditore Paolo Arata. L'ipotesi era che Arata avesse dei legami con Vito Nicastri, importante imprenditore dell'eolico (a sua volta imputato e poi assolto per concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni). Nel corso delle indagini, che prevedevano di intercettare le comunicazioni di Arata, erano avvenute alcune telefonate con Siri. Da queste era emersa la presunta promessa di un pagamento di 30mila euro in cambio di un emendamento alla legge di bilancio (che poi non fu mai presentato) sull'eolico. In più, Siri in concorso con Arata si sarebbe attivato per far finanziare il completamento dell'aeroporto di Viterbo, facendo l'interesse della società partecipata Leonardo Spa.

Cosa aveva deciso il Senato sulle intercettazioni di Siri

Nel marzo 2022, come detto, il Senato vietò l'utilizzo di queste intercettazioni. I senatori infatti stabilirono a larga maggioranza (con il voto contrario solo di Movimento 5 stelle e Liberi e uguali) che le prime due intercettazioni, risalenti al 15 maggio 2018, non avevano la "necessità probatoria" che serve per autorizzare le intercettazioni di un parlamentare.

Per le altre sei, svolte tra maggio e agosto 2018, il problema era invece che si potevano considerare intercettazioni ai danni di Arata in cui casualmente si trovava anche Siri. Dato che il senatore era già apparso in due telefonate, i magistrati avrebbero dovuto prevedere che ci sarebbero state altre conversazioni. Dunque non si trattava più di intercettazioni ad Arata, ma di vere e proprie intercettazioni ai danni del parlamentare Siri, per quanto "indirette": in conclusione, la Procura avrebbe dovuto chiedere il permesso al Senato prima di effettuarle, e non a posteriori.

Il pm e il giudice per le indagini preliminari di Roma, non soddisfatti per la risposta di Palazzo Madama, avevano ottenuto di fare ricorso alla Corte costituzionale. Alla fine dello scorso anno, la Corte ha accolto il ricorso, e ora è arrivata la sentenza.

Cosa dice la sentenza della Corte costituzionale sul caso Siri

La Corte costituzionale ha stabilito che il Senato sbagliò, nel 2022, a negare le intercettazioni. E, adesso, la richiesta di autorizzazione per quelle otto registrazioni necessita di "una nuova valutazione da parte del Senato". Sul piano legale, il motivo è chiaro. Innanzitutto, per quanto riguarda le prime due, non tocca al Senato "valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare", come invece fecero i senatori. Invece, avrebbero semplicemente dovuto valutare "le motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione", ma si spinsero troppo in là.

Per quanto riguarda le altre sei, non c'erano gli "elementi sintomatici che inducono a ritenere che il reale obiettivo delle autorità preposte alle indagini fosse quello di accedere indirettamente alle comunicazioni" di Siri. Insomma, è chiaro che i magistrati stavano davvero intercettando Arata e Siri si era trovato coinvolto per caso, e non per una macchinazione dei pm. Lo dimostra anche il fatto che tutte le intercettazioni furono comunque effettuate prima che Siri fosse effettivamente indagato, a settembre 2018. Quindi non si può dire che la Procura avrebbe dovuto chiedere il permesso al Senato in via preventiva.

Dunque, il voto di Palazzo Madama fu una "menomazione delle attribuzioni del giudice dell'udienza preliminare" di Roma, e un "non corretto esercizio" delle prerogative del Senato. Ora, dunque, la questione dovrà ritornare ai senatori. La Corte non ha stabilito che il voto dovrà per forza essere favorevole all'utilizzo delle intercettazioni. Tuttavia, le motivazioni per votare contro, eventualmente, dovranno essere diverse.

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