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Concorsi universitari truccati, il segreto di Pulcinella nel Paese che non conosce meritocrazia

La maxi-inchiesta che ha portato all’arresto di sette docenti e ad indagare un totale di 59 persone, partita dalla denuncia di un ricercatore italo-inglese arbitrariamente estromesso da un concorso per un posto da professore universitario, riporta finalmente l’Italia a parlare e analizzare il fenomeno del baronato universitario, uno degli elementi che sempre più spesso porta i cosiddetti “cervelli” italiani a fuggire all’estero in cerca di opportunità e meritocrazia.
A cura di Charlotte Matteini
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All'alba del 2017, grazie a Philip Laroma Jezzi, un ricercatore italo-inglese impiegato presso il dipartimento di Scienze Giuridiche dell'università di Firenze a cui è stato chiesto di ritirarsi da un concorso per un posto da professore già assegnato arbitrariamente ad un'altra persona e che ha avuto il coraggio di denunciare le pratiche scorrette, è scoppiato lo scandalo dei concorsi truccati, che ha portato all'arresto di sette docenti universitari, alla sospensione per un anno di ulteriori 22 professori per un totale di ben 59 indagati. La maxi-inchiesta che sta scoperchiando "il vile commercio dei posti", come definito da uno dei docenti indagati, è partita nel 2013, subito dopo la denuncia del ricercatore italo-inglese che, registrate le conversazioni intrattenute con i cosiddetti "baroni" che lo invitavano a farsi da parte, ha provveduto a consegnare tutto il materiale agli inquirenti e a far partire così l'indagine.

“Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano, se fai ricorso ti giochi la carriera”, si è sentito dire il ricercatore. E poi, ancora: "Non è che si dice è bravo o non è bravo. No, si fa questo è mio, questo è tuo, questo è tuo, questo è coso, questo deve andare avanti per cui…”, spiegava il professor Pasquale Russo. “Così ti giochi la carriera. Invece se accetti, ti facciamo scrivere un paio di articoli così reimposti il tuo curriculum e vieni abilitato nella prossima tornata”.“I commissari si sono già riuniti un paio di volte o ognuno ha portato i suoi o dei suoi amici. Ognuno ha chiesto e tutti hanno dato agli altri. Insomma c’è stato un do ut des. È stata fatta una lista e tu non ci sei”, ribadiva Russo nel corso della conversazione mentre Laroma Jezzi registrava tutto a suo insaputa.

Insomma, grazie al coraggio di un ricercatore che ha voluto fare "l'inglese" e non "l'italiano", nella mattinata del 26 settembre 2017 l'Italia si è svegliata apprendendo dell'esistenza di un "vile commercio dei posti" da professore universitario. La scoperta dell'acqua calda, del "così fan tutti". Senza svilire l'azione di Philip Laroma Jezzi, l'esistenza di un pervasivo fenomeno di baronato all'interno delle università italiane era notizia nota a tutti, una sorta di "segreto di Pulcinella" sottaciuto molto spesso per complicità o per paura. Poche le denunce, o meglio inferiori al reale numero di casi di cui molti, tanti, troppi studenti ed aspiranti accademici raccontano. Moltissimi i ricorsi, spesso accolti, ma pochissimi i procedimenti giudiziari volti a scardinare il sistema alla radice.

Insomma, della mafia dei baroni si chiacchiera dalla notte dei tempi, come dell'esistenza di bandi di concorso assegnati e cuciti su misura per candidati già arbitrariamente prescelti e spesso senza titoli idonei, posti negati ai cosiddetti "figli di nessuno" che vantano titoli e pubblicazioni ma sono sprovvisti di parentele influenti all'interno del mondo universitario. Come spesso rilevano molti docenti e dottorandi, non tutta l'università italiana viene gestita in questa maniera, ma è innegabile che il baronato sia la causa della quasi assoluta mancanza di meritocrazia che spinge molti giovani e meno giovani studiosi italiani ad abbandonare il proprio Paese in cerca di reali opportunità all'estero.

Della fuga dei giovani talenti italiani si parla ormai da tempo e il fenomeno nel corso degli ultimi anni, complice la crisi economica che attanaglia l'Italia, ha assunto proporzioni evidentemente gigantesche. Nonostante tutto, però, seppur i problemi che provocano questa vera e propria emorraggia di talenti siano noti, sembra quasi impossibile porvi rimedio, poco concretamente si discute sia di baronato – assurto agli onori della cronache oggi solo grazie all'inchiesta in corso – oppure di precariato giovanile. Ogni tanto si legge qualche timido commento o editoriale, ma mai un reale dibattito politico che sfoci nel proporre soluzioni allo scopo di arginare questi due fenomeni ormai pervicacemente radicati nella società italiana. Così fan tutti, quasi come fosse inutile tentare di scardinare un sistema che sta uccidendo l'Italia solo perché "ormai funziona così, sono regole non scritte".

E così, di anno in anno, il baronato sopravvive indenne da decenni grazie alla complicità di chi ha fatto qualsiasi cosa pur di ottenere un posto all'interno dell'università scavalcando le regole, arrivando ad accettare sporchi compromessi, alla complicità dei professori che si spartivano posti pubblici come fossero beni privati e alla paura da parte dei ricercatori e dottorandi spesso impossibilitati a denunciare per paura di essere estromessi dal sistema dopo anni di sacrifici o costretti a espatriare alla ricerca di un futuro migliore e più meritocratico.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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