Se per Poletti il problema non sono i giovani che se ne vanno dall'Italia per cercare un lavoro (anzi, se ne compiace) qui da noi abbiamo comunque il problema di avere come ministro come lui (ma è un'aria piuttosto generale) che finisce regolarmente sulle prime pagine dei giornali per la goffaggine (e la superficialità) con cui discute (e legifera) del lavoro che sta nell'articolo 1 della Costituzione. Bollare i centomila giovani come gente che è meglio non avere più tra i piedi (con un lessico tra l'altro che riesce ad essere più greve e banale di un darsi di gomito da osteria) è un concentrato di errori in una frase sola.
Poletti è miope. Non riuscire a leggere la situazione occupazionale di questo Paese (insieme all'affossamento della meritocrazia) significa non avere la benché minima capacità di connettersi con il reale. Non è una buona referenza per un ministro. No. I giovani che emigrano sono quelli che dopo avere convissuto con i baroni, i predoni, i lacchè e i raccomandati e hanno perso la speranza. I giovani che perdono la speranza (e in generale i fragili che non vedono possibilità di riscatto) sono stati il centro della narrazione renziana fin dall'inizio della scalata di politica di Renzi e i suoi. Non "sentire" il Paese e vantarsene. Bene così.
Poletti è volgare. Volgare, sì, perché se davvero oggi ci siamo tutti indignati per la "faccia come il culo" di Giachetti pronunciata durante l'assemblea del PD non possiamo non registrare il fatto che Poletti giudichi invece una situazione ampia proponendone un unico modello negativo. È il famoso "di tutta l'erba un fascio" che ci fa arrabbiare quando qualche nostro anziano zio ci cade durante il cenone. Solo che questo è ministro e l'ha detto davanti alla telecamera. E puntare sulla propria visibilità per generalizzare contro una categoria che non avrà mai modo e occasione di rispondere è un gesto volgare, è bullismo della peggior specie.
Poletti è dannoso. È dannoso per i lavoratori (anche se finge di non accorgersene) ma come tutte le persone troppo goffe è pericoloso anche per i suoi "alleati" e "amici". Nei giorni scorsi ha detto chiaramente che l'idea di andare al voto è ottima anche per evitare il referendum indetto contro il Jobs Act (tutta lo pensavano ma lui è riuscito a pronunciarlo, fuoriclasse) e poche ore dopo l'autocritica zen inscenata da Matteo Renzi (che ha confessato di aere ascoltato troppo poco il Paese e di avere parlato troppo) ecco che riesce a rendersi odioso quasi quanto la sua odiosa riforma del lavoro. E vedrete che dirà di essere stato frainteso anche questa volta. L'operazione simpatia insomma parte da Giachetti e da Poletti. Bravi. Avanti così.
Poletti è rancoroso. O meglio: sarebbe terribile che Poletti sia anche rancoroso. Non vogliamo pensare che la frase di Poletti sia figlia di un risultato all'ultimo referendum disastroso presso i giovani. Non vogliamo pensare che Poletti sia uno di quei padri che scambia l'autorità per autorevolezza e che è convinto di avere perso perché gli altri sono troppo stupidi. Non vogliamo credere che Poletti, in fondo, sappia molto bene che a forza di liberalizzare si finisce per doversi preoccupare di avere le spalle coperte. E tra i padroni e i giovani non vorremmo che Poletti abbia scelto i padroni. Ma su questo sicuramente mi sto sbagliando io.