Quattromilanovecentotrentotto euro: è questa la cifra individuata dal decreto a firma dei ministri Piantedosi, Nordio e Giorgetti con cui un richiedente asilo può evitare di finire rinchiuso in un Cpr, un centro di permanenza e rimpatrio. Dalle opposizioni sono arrivate le prime critiche: c’è chi parla di crudeltà, chi paragona la garanzia finanziaria richiesta a una tangente o ai pagamenti imposti da scafisti e trafficanti. L’analogia è in realtà più semplice, e a suo modo sovranista: quella del governo Meloni è una istruttiva dimostrazione di come funziona il metodo mafioso.
La minaccia e l’offerta: creare un problema e proporre la soluzione
Provocare il caos per garantire ordine, fare violenza per offrire protezione: l’offerta della criminalità organizzata sottintende sempre una minaccia. Il commerciante taglieggiato paga il pizzo per ottenere tutela, ma la tutela gli serve perché chi gliela offre ha creato, con minacce e violenze, un bisogno.
Il meccanismo governativo della garanzia finanziaria per non finire in un Cpr si basa sullo stesso schema. Prima si allarga a dismisura il rischio che un richiedente asilo entri in un centro di rimpatrio, poi gli si offre una soluzione alternativa per sottrarsi alla minaccia.
Per capire meglio è il caso di leggere il decreto legislativo 142 del 2015, che attua le direttive europee in materia di protezione internazionale. All’articolo 6, si legge che "il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda", a cui è aggiunta un’eccezione: la persona può essere trattenuta qualora abbia commesso crimini, o ne sia sospettata, o rappresenti un pericolo per la sicurezza o l’ordine pubblico. Con il decreto Cutro, però, tutto diventa eccezione: si aggiunge infatti l’articolo 6-bis, secondo il quale qualunque richiedente può essere trattenuto "al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato". Ma c’è un modo per sottrarsi a questo rischio di detenzione arbitraria: esibire il passaporto o prestare "idonea garanzia finanziaria" (i 4938 euro ora fissati dai ministri Piantedosi, Nordio e Giorgetti).
L’impatto concettuale: negare diritti per concedere favori
Nella pratica, difficilmente un profugo si trova in possesso di documenti in corso di validità o ha la possibilità di prestare, individualmente, "in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa" una garanzia finanziaria di quasi cinquemila euro.
Non solo. È il caso di ricordare che l’asilo è un diritto umano: chiedere protezione a uno Stato diverso dal proprio e vedere la propria richiesta analizzata individualmente e con equità non è una concessione che magnanimamente offriamo, ma un diritto che spetta a ogni persona (e un dovere di ogni Stato che possa dirsi civile).
Per questo la proposta ai richiedenti asilo di dare una "idonea garanzia finanziaria" per evitare una inutile, se non illegittima, detenzione in un centro di permanenza e rimpatrio è una scelta concettualmente molto forte da parte del governo Meloni e del tutto aderente alla filosofia mafiosa. Non solo infatti si crea il bisogno di sfuggire a una minaccia e si offre una via d’uscita, ma si prende un diritto, quello di attendere con relativa serenità l’esito della propria richiesta di protezione, e lo si trasforma in un favore, da pagare.
Su questa cultura si regge e prospera la mafia: negando diritti, insinuandosi laddove non sono garantiti, offrendo sotto forma di concessione qualcosa che dovrebbe essere assicurato senza bisogno di ringraziare nessuno.
Il destino degli invisibili: schiavi o gregari della criminalità organizzata
La scelta del governo Meloni è allora a suo modo istruttiva: i richiedenti asilo, così come i migranti economici, devono capire fin da subito che cosa li attende nel paese che ha inventato la mafia e che l’ha esportata con successo in tutto il mondo.
Molti di loro, grazie alle strategie securitarie e repressive degli ultimi anni, avranno modo di incontrare la criminalità organizzata, di diventarne schiavi quando non complici o gregari. La mafia infatti guadagna sull'irregolarità, nelle sacche di disagio, nella fornitura di servizi al ribasso. Se ne era parlato già ai tempi del Viminale nelle mani di Salvini, quando fu quasi dimezzato il capitolato per l'accoglienza: Asgi denunciava come la scelta fosse "un regalo alla criminalità organizzata perché solo persone senza scrupoli o speculatori potranno accettare di gestire strutture in condizioni disumane, con gente che vivrà ammassata, con personale dequalificato".
Lo si rivede anche con il governo Meloni, che quattro mesi fa ha dichiarato lo stato di emergenza sull’immigrazione, affidando la gestione del sistema di accoglienza alla Protezione civile e rinunciando quindi a una progettualità a medio e lungo termine di un fenomeno sociale che esiste dall’inizio dell’umanità e che non si interromperà solo perché i ministri fanno la faccia cattiva. La repressione dell’immigrazione non riduce il numero di stranieri sul territorio, diminuisce solo le loro possibilità di integrazione e inclusione, e ne accresce la ricattabilità: gli stranieri semplicemente vengono banditi dalla società, cacciati in un'invisibilità in cui la mafia prolifera e recluta la propria manovalanza.