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Con la nuova legge sulla famiglia la destra fa entrare gli antiabortisti nei consultori in Umbria

Centri per la vita, soldi alle associazioni anti-abortiste e nessun interlocuzione con associazioni delle donne: la nuova legge varata dalla leghista Tesei è un regalo a Pro-Vita e agli antiabortisti d’Italia.
A cura di Jennifer Guerra
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Dopo quattro anni, la giunta leghista di Donatella Tesei ce l’ha fatta: la contestata legge umbra “sulla famiglia” è diventata realtà. Il testo doveva essere una riforma del testo unico in materia di sanità e servizi sociali, ma già dalla prima bozza era possibile apprezzare la direzione in cui stava andando la legge: tutela della vita nascente e della famiglia naturale, in altre parole, un testo antiabortista che tra le altre cose apre le porte dei consultori pubblici alle associazioni anti-scelta, che oggi gioiscono per l’approvazione.

Tesei, che quando fu eletta nel 2019 firmò il Manifesto valoriale per la vita, la famiglia e la libertà educativa di ProVita e Famiglia, non è nuova a iniziative antiabortiste: nel 2020, in piena pandemia e crisi dei posti letto negli ospedali, abrogò una precedente legge regionale che prevedeva di usufruire dell’aborto farmacologico, ripristinando il ricovero obbligatorio. La sua decisione sollecitò l’allora ministro della Salute Speranza a modificarne le linee di indirizzo per tutta Italia, eliminando l’obbligo dell’ospedalizzazione. L’Umbria tuttavia non si è ancora adeguata e resta una delle regioni d’Italia in cui è più difficile abortire.

Le promesse del Manifesto di ProVita erano molto specifiche: si parlava di “sostenere la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”, di istituire un “tavolo permanente della famiglia insieme alle associazioni pro family e pro life”, di “inserire nello Statuto regionale dell’impegno della Regione per la tutela della vita fin dal concepimento”, di sostituire l’indicatore dell’Isee con il “Fattore famiglia” e di “supportare le associazioni che hanno, tra i loro fini statutari, il sostegno alla maternità, per contrastare il crescente fenomeno della denatalità”. Molte di queste richieste sono state accolte nel testo definitivo approvato ieri dal Consiglio regionale, che ha anche stanziato 30 milioni di euro.

Già il primo articolo della legge parla chiaro: il plurale “le famiglie” del testo del 2015 va sostituito con il singolare “la famiglia”. Ed è evidente come la regione Umbria abbia in mente un solo modello di famiglia, quello tradizionale, che va preservato e tutelato da qualsiasi minaccia, divorzio compreso. L’articolo 2 prevede infatti di “rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, culturale ed economico che impediscono le nuove nascite, l’adozione e la vita della famiglia, prevenendo situazioni di particolare disagio, povertà o esclusione sociale, ivi comprese quelle conseguenti a provvedimenti giudiziari afferenti alla separazione o al divorzio”. In molti hanno visto in questo comma un richiamo molto evidente al contestato ddl Pillon, che imponeva la “bigenitorialità perfetta” anche a fronte di situazioni di rischio per il minore. E infatti più avanti nel testo si parla di “privilegiare la protezione e il recupero del nucleo familiare”, anche per le famiglie separate. Va ricordato che Simone Pillon attualmente è responsabile delle politiche familiari della Lega in Umbria.

Sono poi esplicite e numerose le iniziative antiabortiste, a partire dalla “tutela e promozione della vita umana fin dal concepimento e in tutte le sue fasi” e gli “interventi volti a prevenire e a rimuovere le difficoltà economiche, sociali e relazionali che possano indurre all’interruzione di gravidanza, in attuazione e nel rispetto della normativa nazionale vigente, anche attraverso apposite convenzioni con soggetti non istituzionali”. Proprio come per il discusso emendamento sui fondi del Pnrr approvato ad aprile dal governo, l’articolo di fatto apre alla presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori. La loro presenza è rafforzata anche dall’istituzione di “Centri per la famiglia” che dovrebbero lavorare insieme ai consultori, all’istituzione del Tavolo caldeggiato da ProVita, che nel testo approvato diventa “Distretto famiglia”, e all’elenco regionale degli organismi di rappresentanza delle famiglie.

Il testo approvato stanzia 30 milioni di euro per le varie iniziative, che includono anche sostegni per la conciliazione vita lavoro e per l’assistenza alle persone disabili. Se la partecipazione ai vari tavoli istituiti con le associazioni familiari risulta gratuita, la regione però prevede in futuro di stanziare fondi, la cui cifra non è ancora determinata, per “le attività dei consultori familiari per il sostegno alle gestanti e alle madri in difficoltà, per la prevenzione dell’interruzione volontaria della gravidanza e dell’abbandono alla nascita”. L’Umbria nel 2023 ha già istituito un “Fondo vita nascente” su modello di quello del Piemonte, che prevede di elargire soldi pubblici alle associazioni che aiutano le donne a “superare le cause dell’aborto”.

Secondo la Rete umbra per l’autodeterminazione, che riunisce le associazioni femministe della regione, si tratta di “una riforma che fino a qualche giorno fa non aveva stanziamenti economici, ma solo dettami ideologici, e che a 60 giorni dal voto non solo viene approvata in urgenza e senza ascoltare le istanze delle associazioni delle donne, ma stanzia anche 30 milioni di euro”. Per la Rete, si tratta di “un chiaro messaggio elettorale in vista delle prossime elezioni regionali di novembre. La Lega in Umbria è chiaramente in difficoltà perché deve tener fede alle promesse fatte alle associazioni del Family Day”.

Il testo è stato molto ridimensionato dalla sua prima versione proposta dalla consigliera della Lega Paola Fioroni, che sembrava quasi un copia-incolla delle proposte contenute nel Manifesto di ProVita, ma nonostante le modifiche l’impianto ideologico resta ben chiaro. La maggioranza continua a dire che si tratta di un testo che ha il solo scopo di valorizzare le famiglie e non vuole togliere diritti a nessuno. Ma ormai dovrebbe essere chiaro che dietro il linguaggio apparentemente neutro della “tutela della vita e della famiglia” si nascondo politiche oscurantiste che negano l'autodeterminazione o, in questo caso, addirittura l'esistenza di altre famiglie che non siano quelle tradizionali.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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