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Compagno Civati, la cieca obbedienza non è più una virtù

Che senso ha il “non capisco ma mi adeguo” di Civati sul caso Cancellieri? E soprattutto, come immagina di cambiare il partito se ne riproduce il tatticismo, i compromessi ad oltranza e l’ipocrisia?
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Per quanto sia paradossale, la frase definitiva sulla questione Cancellieri la leggiamo sulla pagina facebook del collettivo satirico "L'Apparato": "Comunque facciamo notare che dopo tanto strepitare Civati (quello che "non si adegua") si è adeguato in buon ordine e voterà disciplinatamente la fiducia". È il riassunto più diretto del discusso e discutibile "non capisco ma mi adeguo" con cui Pippo Civati ha deciso di votare contro la mozione di sfiducia al ministro Cancellieri presentata dal Movimento 5 Stelle. Scelta legittima, ovviamente (considerando anche il tono della mozione grillina). Ma che ha provocato non poche polemiche e che ci lascia davvero perplessi.

Certo, il suo ragionamento è molto più articolato, come si legge sul suo blog in un post in cui parla espressamente di ricatto (e che sarà seguito da un altro durissimo post contro Cuperlo):

Ho difeso la proposta di presentare un nostro documento […] perché se è vero che una maggioranza non vota le mozioni di sfiducia dell'opposizione, è ancora più vero che di norma le anticipa con una posizione politica. Posizione politica che è stato impossibile esprimere perché […] si è voluto mettere la fiducia sul governo.

Quindi, un dichiarato dissenso, portato sui media e al gruppo, ribadito con parole ferme per quello che giudico il (solito) errore politico: molto grave, per gli effetti che ha sulla credibilità delle istituzioni e delle nostre azioni. […] Se non partecipo al voto, tutto mi porterebbe a lasciare il gruppo e il partito.

Ricostruzione sensata, ma che non convince. Perché Civati sa bene quanto sia necessario marcare il dissenso con posizioni nette, radicalmente alternative, di rottura. Non ha senso, specie nel momento in cui si caratterizza la propria proposta politica come alternativa al vecchio gruppo dirigente e alle larghe intese, rifugiarsi nella disciplina di partito. Che poi, cosa sarebbe? Quella della blindatura del consenso degli anni cinquanta? Quella del centralismo democratico? Oppure il messaggio che intende comunicare Civati è che si può votare qualunque cosa in nome di un obiettivo più alto (la lotta per il cambiamento del Pd, nello specifico)? Che, insomma, si possa scendere a patti con la propria coscienza e abiurare le proprie idee per mera tattica. Che si possa giustificare l'ipocrisia in nome della conservazione di dati equilibri politici. Ma questo, compagno Civati, in cosa sarebbe diverso dal ragionamento che ha portato alle larghe intese o all'affossamento di Prodi?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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