Il 16 febbraio è stata una giornata molto importante nel campo delle nuove tecnologie. OpenAi ha lanciato Sora, una funzione che permette di usare l’intelligenza artificiale per produrre dei filmati ultra-realistici semplicemente con un comando testuale. Una rivoluzione dai tratti impressionanti, considerando che le immagini sono praticamente perfette (per dettagli, texture, fluidità eccetera), ma anche inquietanti. Come ha notato qualche analista su X, da adesso sarà opportuno “non credere” a qualunque cosa si veda su Internet, almeno senza una verifica approfondita sulla veridicità dei filmati.
Un primo esempio eravamo convinti di averlo visto pochi minuti dopo l’annuncio di Sora. Quando in Italia hanno iniziato a circolare alcuni video che mostravano il quasi 75enne Vincenzo De Luca a capo di una manifestazione di sindaci nei pressi di Palazzo Chigi. Nei filmati, colui che porta con orgoglio il soprannome di “sceriffo” (per atti e pensieri in tema di sicurezza e rispetto delle leggi) affrontava a muso duro gli agenti posti a protezione dei luoghi della politica, mentre i sindaci che erano con lui venivano quasi a contatto col cordone di polizia. Ne seguiva uno scambio di accuse e commenti non esattamente gentile, con De Luca che si lamentava di non essere stato ricevuto da nessun rappresentante delle istituzioni. Pochi minuti dopo, un altro video, stavolta a camera bassa, mostrava il governatore della Campania insultare platealmente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, rea di non averlo incontrato e di aver liquidato sbrigativamente la manifestazione dei sindaci contro le politiche del governo. Scene surreali, persino per un Paese come il nostro, abituato a tutto.
Era tutto vero, ovviamente. E l’intelligenza artificiale non c’entrava niente. Purtroppo, ci viene da aggiungere, almeno a giudicare dal dibattito che ne è scaturito. Come ampiamente prevedibile, la maggioranza di governo ha attaccato duramente il politico campano per il suo, cito, “turpiloquio”, “linguaggio indecente”, “comportamento inaccettabile”. Nulla di nuovo, tutto secondo il più classico schema vittimista più e più volte utilizzato dalla destra. Dal Partito democratico si è scelto di non commentare, anche perché la gravità dell'insulto e il contesto in cui è stato pronunciato non si prestano ad analisi politiche di qualsivoglia profondità.
La scena per il governatore della Campania
De Luca ha minimizzato sull’insulto, ma non sulle ragioni che lo spingono a protestare contro le scelte del governo (Pnrr e Autonomia differenziata), che nella sua lettura penalizzerebbero il Sud. Nelle ultime settimane, del resto, si è ritagliato il ruolo di principale oppositore delle riforme del governo, non risparmiando giudizi taglienti nei confronti della classe dirigente che supporta Meloni. Solo qualche giorno prima della manifestazione, aveva parlato di fondi bloccati da “una massa di imbecilli che abbiamo a Roma”, mandando strali contro “i farabutti che sono al governo, responsabili di una campagna di menzogne e di falsificazione dei dati”. Ancora prima si era scagliato contro Meloni e Fitto: “Abbiamo migliaia di posti di lavoro a rischio per l’irresponsabilità e la delinquenza politica di questo governo e di questo ministro”. Sempre dello stesso tenore era stato l’invito alla “resistenza e lotta armata”, contro un “governo di disturbati mentali”. Per ragioni di spazio, invece, ometteremo gli epiteti e i giudizi sui ministri Sangiuliano e Lollobrigida, tra i suoi bersagli preferiti.
Non sappiamo quanto tale incontinenza verbale sia servita a sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi o a ottenere risultati concreti, di certo gli ha consentito di emergere come uno dei più determinati oppositori del governo egemonizzato da Fratelli d'Italia. Un posizionamento che, tutto sommato, dà fastidio tanto alla maggioranza quanto alle forze politiche che compongono il campo opposto. Meloni, in effetti, pur non considerando De Luca come un contender, riconosce che si tratta di uno dei pochi esponenti politici con una certa visibilità ad aver smascherato il giochetto sull'Autonomia. Il governatore della Campania (con pochi altri) riesce a evidenziare le tante fallacie della tesi di una riforma "pensata dal Nord che favorirà anche il Sud", mettendo in oggettiva difficoltà la classe dirigente meridionale espressione dei partiti di maggioranza. Lo scontro tra i due, che non sono poi nemmeno così distanti su questioni come sicurezza e legalità, e che condividono anche un certo modo di comunicare "autentico e diretto", rischia dunque di avere ripercussioni sull'imminente campagna elettorale per le Europee.
D'altro canto, De Luca spariglia anche nel campo opposto. È nota la sua lontananza, politica e umana, da Elly Schlein, che ha avversato duramente nel corso delle primarie per la segreteria del Pd e che sta contestando platealmente e apertamente dal giorno uno del suo insediamento al Nazareno. Ed è noto che stia giocando una complessa partita per l'eventuale terzo mandato, nonché interamente per le candidature alle Elezioni Europee. È, per farla breve, un elemento di rottura, che non favorisce l'unità del partito, che mina l'autorità della segreteria e che pur tuttavia conserva margini di manovra enormi, dettati dal suo peso politico e dal controllo di un consistente pacchetto di voti. Ogni tentativo di ridimensionarlo, adesso e in passato (ci provò in parte anche Renzi) è sempre fallito. Ora che la sua stella sembra oggettivamente in declino, lui reagisce alzando i toni, alimentando lo scontro, esagerando.
La ribalta mediatica di questi giorni, in tal senso, gli dà una centralità che non sembrava più avere, rendendolo un enigma di difficile soluzione per Schlein, proprio perché elemento divisivo e non controllabile in un momento in cui ha necessità di compattare il partito in vista delle Europee. Semplificando: non puoi stare dalla parte di De Luca, perché lui non sta dalla tua; non puoi andargli contro, perché faresti il gioco della destra e perché ne condividi le ragioni sulla questione specifica; non puoi ignorarlo, perché lui ha voti e potere che ti servono.
La segretaria del Pd sta lavorando bene sulla polarizzazione con Meloni, seguendo il binario della contestazione nel merito delle scelte del governo su temi specifici (lavoro e sanità), ma ponendosi come interlocutrice responsabile nel caso di questioni di rilevanza nazionale. La mozione su Gaza, nella sua lettura, è solo l'anticipo di quel cambio di passo sui temi di grande impatto per il proprio elettorato che in molti si attendono in campagna elettorale. La battaglia sull'Autonomia era uno di quelli. Anche per questo, doversi occupare di De Luca è un intoppo di cui avrebbe fatto volentieri a meno.