E' la macchina del tempo della politica italiana. Un eterno ritorno che riesce a spiazzare anche chi, negli anni, ha seguito da vicino le vicende di questo paese. Ma soprattutto è quella politica che mai si chiede, in primis, di cosa abbia bisogno il paese e che, invece, continua a guardare l'Italia dal proprio monocolo da Transatlantico.
Per carità nessuno mette in dubbio la figura del neo Presidente della Repubblica (offerta già da Bersani due anni fa a Berlusconi nella rosa di papabili per il Colle) bensì il principio che sottostà nella ricerca di un Presidente che provenga
a) dalle segrete stanze di un accordo tra partiti
b) da una tradizione – quella della Prima Repubblica e della Democrazia Cristiana – che non riusciamo, davvero, a lasciarci alle spalle
Eppure il Presidente della Repubblica dovrebbe essere il "rappresentate dell'unità nazionale". Come può rappresentare l'unità nazionale un passato che abbiamo in tutti i modi cercato di gettarci alle spalle? Come può rappresentare l'unità nazionale l'eterno ritorno alla DC?
Perché qui non è in discussione l'uomo – la cui levatura morale è indubbia – ma il sistema che tutela sé stesso scegliendo dalle fila di un partito che non esiste più, sciolto a margine di una montagna di scandali che – all'estero – avrebbero spazzato via un'intera generazione.
E invece assistiamo, ciclicamente, al suo eterno ritorno sotto l'ediga di nuovi cappelli. Assistiamo all'eterno ritorno di un passato che dovrebbe esser tale.
Servirebbero nuovi slanci, nuovi attori. Uomini e donne in grado di rappresentare quella ventata di freschezza di cui questo paese ha tanto bisogno. Una ventata di freschezza che non può esprimersi solo attraverso i tweet del Presidente del Consiglio (a cui sarebbe il caso, a volte, di far seguire anche azioni concrete) ma che deve pervadere le stanze di un palazzo accartocciato su se stesso. Perché andare a cercare un Presidente della Repubblica tra le fila di chi non è più al centro della vita politica vuol dire privare i cittadini di un necessario dibattito su chi li rappresenterà. Come si può dibattere di chi non si conosce?
L'ultima volta che Mattarella ha ricoperto un incarico politico pubblico c'erano ancora le Torri Gemelle; l'Italia si apprestava a ospitare (a Genova) il G8; gli italiani pagavano ancora con le lire; YouTube non esisteva e Facebook neanche.
Come si può pensare che un Presidente della Repubblica sconosiuto ai più possa davvero rappresentare l'unità nazionale?
L'aneddoto centrale della sua carriera poltica è legata all'abbandono del ruolo di governo in seguito al voto sulla legge Mammì: era il 1990. L'attuale Presidente del Consiglio aveva 15 anni all'epoca. La Russia si chiamava ancora URSS, in Europa e non esistevano la Repubblica Ceca né la Bosnia.
Per questo la scelta di Mattarella – ribadiamo non è in discussione l'uomo ma il processo – sembra fuori dalla storia. E' come svegliarsi improvvisamente seduti accanto a Marty McFly. In un momento storico di grande disaffezione politica come si riduce la distanza tra lo Stato e il popolo se non attraverso scelte attuali? O la rottamazione voluta da Renzi è solo lo specchio delle sue personalissime esigenze (e non quelle del paese)? Perché più guardiamo da vicino questa elezione più emerge la sensazione che la scelta sia stata fatta solo e unicamente al fine di avere un Presidente meno Presidente del Presidente del Consiglio. E il fatto che si discuta più della mossa di Renzi che di Mattarella in sé è un segnale di questa necessità di non avere qualcuno che gli faccia ombra.
Una scelta che lascia il senso di un processo di palazzo che non sceglie né un poltico né un tecnico ma un via di mezzo. Un uomo preparato ma che non faccia ombra al Presidente del Consiglio. Un uomo di stato ma non di apparato, in altri termini il giusto compromesso affinché tutto cambi ma resti come prima. Democristianamente parlando of course.