Se qualcuno continua ad essere convinto della feroce genialità dei social manager del ministro dell'interno Salvini (che a Facebook e Twitter sembra avere demandato gran parte della propria attività politica, più affezionata alla propaganda che al lavoro sulle carte) allora gli conviene dare un'occhiata al post con cui si ingegna ad attaccare il sindaco di Riace Mimmo Lucano facendo parlare un cittadino tutto intento a descrivere il sindaco come padre/padrone della città, più preoccupato dei neri piuttosto che dei riacesi e addirittura accusandolo di non averlo pagato in occasione di una collaborazione in un progetto di accoglienza.
Il video, oltre che da Salvini, è stato ripreso da molti esponenti di punta del Movimento 5 Stelle, di Fratelli d'Italia e in generale da tutta quella schiera che ha bisogno impellente di dimostrare che tutti i buoni nascondono foschi secondi fini, sempre per quel giochetto per cui per arrogarsi il diritto di essere razzisti basta sputare fiele contro gli avversari.
«Se avete 2 minuti sentite cosa diceva questo cittadino di Riace parlando del sindaco…» scrive Salvini, pronto a dare in pasto la razione di bile quotidiana. E chi è questo cittadino? Si tratta di Pietro Zucco, ex vicesindaco di Riace, che gestiva in città il ristorante "La Scogliera", confiscato dalla DDA al boss di ‘ndrangheta Cosimo Leuzzi. Lo stesso Zucco, sempre in qualità di gestore, aveva avuto a che fare anche con la cava di Stilo che secondo gli inquirenti della Procura Antimafia sarebbe riconducibile a Vincenzo Simonetti, uomo della cosca Ruga-Metastasio.
Per capire vale la pena rileggere l'ordinanza di arresto nei confronti di Zucco e Simonetti: "In definitiva, SIMONETTI Vincenzo, ZUCCO Pietro e MARULLA Antonio hanno rivestito un ruolo attivo, il primo nella gestione di fatto delle società controllate, gli altri due della titolarità formale finalizzata a interporre una formale barriera all’individuazione dei reali attori della vicenda. Tale considerazione vale ancora di più per MARULLA Antonio, soggetto formalmente incensurato che ben si presta a rivestire questo ruolo formale strumentale al progetto criminoso (già vice presidente della EUROSERVIZI MA.GI.CA. e amministratore unico della TRE ESSE. Il ricorso ai prestanome, per il SIMONETTI, ha rappresentato e rappresenta a tutt’oggi una scelta operativa necessaria visto il suo costante coinvolgimento in vicende di criminalità organizzata, tenuto conto che, della sua affiliazione alla cosca RUGA vi è traccia sicura rappresentata non solo dagli organi di polizia, ma anche soprattutto dalla condanna inflittagli dal Tribunale di Locri nel 1985 e 1996 sempre per partecipazione ad associazione di stampo mafioso".
In pratica il ministro dell'interno, colui che per ruolo dovrebbe essere l'argine contro le mafie, travolto dalla brama di cercare una voce dissonante nei confronti del sindaco Lucano per colpire un nemico politico è riuscito nella brillante impresa di fare da megafono (solo sulla sua pagina siamo ora a 550.000 visualizzazioni) a un mafioso. L'uomo che ricopre il ruolo più alto delle forze di polizia, colui che inevitabilmente ha a disposizione più strumenti di ogni altro per valutare la credibilità e la storia delle voci che rilanci nella sua veste istituzionale ha trasformato un prestanome di mafia nella voce che dovrebbe certificare l'immoralità di un sindaco che da sempre si dedica all'accoglienza.
In un Paese normale si leverebbe un coro schifato. In un Paese normale gli stessi alleati di Salvini gli chiederebbero di fare ammenda per questa suo favoreggiamento sociale alla mafia. In un Paese normale ci si renderebbe conto di come a Salvini importi trovare voci che supportino le sue tesi frugando anche nei cassonetti, se necessario.