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Opinioni

Come regalare un referendum (e una vittoria politica) a Renzi

Dal fallimento del referendum sulle trivelle non ci sono lezioni da imparare a memoria: non è un segnale di maturità, come vogliono coloro già da tempo sul carro del vincitore, né un trauma per la democrazia, come lamentano gli sconfitti.
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Il referendum fantasma non ha raggiunto il quorum. E, tutto sommato, la cosa era ampiamente prevedibile. Nelle prossime ore leggerete decine di analisi, di editoriali e di commenti che disquisiranno delle "ragioni del fallimento" e sostanzialmente evidenzieranno una serie di elementi: la scarsa informazione da parte di istituzioni e media, l'impegno tardivo dei partiti, la disgregazione del fronte che aveva promosso il quesito, il boicottaggio del Governo, le risorse investite dalle compagnie petrolifere per sabotare la consultazione, la complessità del quesito.

Tutte questioni che hanno avuto il loro peso, sia chiaro, e che contestualizzate nel clima di disaffezione verso politica e istituzioni da parte dei cittadini, contribuiscono a spiegare il risultato delle urne. Che era prevedibile nella misura in cui non c'è stata una reale "mobilitazione" dei cittadini e non si è innestato quel circolo virtuoso della condivisione di contenuti, istanze e ragioni che, ad esempio, portò al superamento del quorum nel 2011 (sul ruolo dei social network ora e allora, converrà tornare a parlare quando si sarà posata la polvere di queste ore).

Non fossimo un Paese in cui il dibattito politico si è trasformato in un continuo e snervante scontro tra tifoserie, il responso delle urne sarebbe un'occasione fondamentale per riflettere sui limiti dello strumento referendario così com'è adesso e, soprattutto, sullo stato di salute della nostra democrazia. E magari potrebbe essere interessante ragionare sul'evoluzione del processo democratico, sul valore della partecipazione dei cittadini e su nuovi modelli di coinvolgimento e partecipazione. Insomma, non fossimo costretti a esprimerci ogni 60 minuti "pro o contro" qualcuno o qualcosa, potremmo anche valutare come il modello "italiano" di democrazia rappresentativa sia probabilmente da ripensare, proprio perché sta venendo meno una componente essenziale: la partecipazione dei cittadini, che è assieme interesse per la cosa pubblica e legittimazione per l'operato della classe politica.

Ecco, il punto è capire che l'astensionismo, di cui questo referendum è solo l'ennesima evidenza, non è "necessariamente" un male, ma è un male per il nostro sistema politico – istituzionale. Una riflessione di questo tipo, a parere di chi scrive, sarebbe tanto più urgente proprio perché in autunno ci toccherà esprimerci su una riforma della Costituzione che ridefinisce anche le caratteristiche dello strumento referendario (prevedendo, tra le altre cose, un deciso abbassamento del quorum per i referendum indetti con il sostegno di almeno 800mila firme).

Ma è più facile, più "social", più virale parlare di Renzi, mi rendo conto. E allora diciamole due parole sulla scelta del Presidente del Consiglio, magari senza girarci troppo intorno.

Nei giorni scorsi la maggioranza degli analisti e la totalità dei suoi avversari politici concordavano su un punto: "l'invito" all'astensione sarebbe stato un boomerang per Renzi, poiché avrebbe motivato tantissime persone ad andare a votare e a fare campagna elettorale per il raggiungimento del quorum. Probabilmente è vero: se Renzi non si fosse esposto, se il PD non si fosse spaccato, la percentuale di votanti sarebbe stata più bassa, anche solo perché del referendum avremo sentito parlare (ancora) di meno.

Ma se Renzi non avesse esplicitato la sua posizione, gli sarebbe stato molto difficile "mettere il cappello" su un risultato che, da qualunque parte lo si guardi, è prima di tutto una sconfitta dell'opposizione nel Paese. Ora invece Renzi raccoglie un successo politico e si prepara a rivendicarlo a livello personale. Il modello è quello delle Elezioni Europee del 2014: il trionfo del PD servì a Renzi come un lasciapassare per asfaltare la minoranza del partito e marginalizzare il Parlamento nelle scelte essenziali. Tenendo ben presente i flussi di consenso e la complessità nel raggiungimento del quorum, al Presidente del Consiglio è bastato investire relativamente poco, un mezzo invito all'astensione basato sul concetto (discutibile) di buonsenso, per trasformare la consultazione in un referendum personale, facendo passare completamente in secondo piano la discussione sul merito del quesito.

Una "mossa" assistita dalle opposizioni, che hanno personalizzato la questione al punto da raccontare agli italiani che si trattava di un voto contro il Governo, che c'entravano i casi Tempa Rossa e Viggiano, che si poteva mandarli a casa, eccetera eccetera. E nel suo discorso di "ringraziamento", infatti, Renzi si è mostrato conciliante, pacificatore, ecumenico: come chi ha vinto ma non vuole infierire, come chi si sente superiore e vuole regalare qualcosa agli altri.

Trasformare anche questa consultazione in un referendum pro o contro Renzi, è servito a Renzi, prima di tutto. Traslare sul piano politico una battaglia (imho sacrosanta) "di principio" e di sostanza come quella delle Regioni ha fatto il gioco di chi poteva permettersi calcoli e tatticismi, senza rischiare più di tanto e con l'appoggio della quasi totalità dei mezzi di informazione. E, infine, la foga con la quale il "popolo" avrebbe dovuto mandare un segnale, un "avviso di sfratto al Governo", è rimasta sui social network al massimo. Anche questo è un fatto, con il quale le opposizioni, in Parlamento e nel Paese, dovranno confrontarsi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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