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Come l’Italia è passata da Paese “immune” alla seconda ondata, a essere uno dei più colpiti

Ormai è chiaro a tutti: anche l’Italia è stata travolta dalla seconda ondata di contagi. Ma tra settembre e ottobre, quando la curva già iniziava a peggiorare, più volte abbiamo sentito voci autorevoli sottolineare come negli altri Paesi europei la situazione fosse ben peggiore, un segno di come il “modello anti-Covid Italia” stesse funzionando. Ma nel giro di un solo mese siamo passati ad essere, da uno dei Paesi che meglio reggeva all’aumento dei nuovi casi, a uno di quelli più travolti. Come è accaduto?
A cura di Annalisa Girardi
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All'inizio dell'autunno lo abbiamo sentito ripetere decine e decine di volte: l'emergenza coronavirus sta peggiorando in tutto il mondo, ma l'Italia è messa molto meglio degli altri Paesi europei. In altre parole, è vero che stanno aumentano i contagi, ma la situazione è ben più critica in Francia o in Spagna. E finché c'è chi sta peggio, non c'è motivo di preoccuparsi: un tentativo di rassicurare i cittadini che non ci sarebbe stato un altro lockdown e che l'incubo Covid non sarebbe tornato. Ma intanto la seconda era già arrivata e nel giro di un mese siamo passati ad essere, da uno dei Paesi che meglio reggeva all'aumento dei nuovi casi, a uno di quelli più travolti.

Eppure quanto accaduto lo scorso marzo avrebbe dovuto insegnarcelo: il virus non conosce confini e se un Paese non registra contagi mentre quello vicino è nel pieno di un'emergenza, è solo perché le infezioni non sono ancora emerse. La scorsa primavera per alcune settimane si è parlato del caso Italia, l'unico Paese occidentale a contare così tanti contagi da Covid-19, quando nel resto d'Europa si pensava ancora al virus come qualcosa di circoscritto alla città di Wuhan e alla provincia cinese dell'Hubei. Ma ben presto tutto il Vecchio Continente si è trovato a dover affrontare una crisi gravissima. Indice del fatto che il coronavirus si era diffuso indisturbato e, semplicemente, autorità sanitarie e istituzioni non se ne erano ancora accorte.

Come è cambiata la mappa dell'Europa nel giro di un mese

Quando, alla fine dell'estate, la curva epidemiologica ha iniziato ad impennarsi pericolosamente in Francia, Spagna e Regno Unito, avremmo dovuto renderci conto che presto anche in Italia si sarebbe parlato di seconda ondata. E invece abbiamo perso tempo prezioso. Riportiamo qui la mappa diffusa dall'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, dello scorso 15 ottobre. Nemmeno un mese fa, l'Italia era colorata in arancione (con addirittura la Calabria, che oggi è zona rossa, in verde) mentre nel resto dei Paesi dell'Europa occidentale si evidenziava una situazione ben più allarmante.

Mappa Ecdc 15 ottobre
Mappa Ecdc 15 ottobre

La mappa aggiornata mostra una situazione differente. Tutta l'Europa è zona rossa: un peggioramento che ci si sarebbe dovuti aspettare. Ma mentre a fine ottobre gran parte dei Paesi europei introducono importanti misure per frenare la curva, in diversi casi tornado di fatto a un lockdown, in Italia l'unica restrizione introdotta a metà del mese scorso è quella riguardante l'obbligo di indossare la mascherina anche all'aperto. A fine ottobre si interviene poi anticipando gli orari di chiusura di bar e locali, ma ancora nessun intervento in merito a scuole, trasporti e altre attività di conviavilità. Da quel momento l'escalation dei nuovi casi ormai non è più sotto controllo e nei giorni seguenti si assiste a una raffica di Dpcm e ordinanze locali che si trovano a inasprire il quadro normativo di giorno in giorno, ormai consapevoli della direzione presa dalla curva.

Mappa Ecdc 13 novembre
Mappa Ecdc 13 novembre

Il "modello italiano"

Durante l'estate si è parlato molto del "modello italiano". Anche l'Organizzazione mondiale della Sanità aveva sottolineato come grazie a una gestione efficace dell'emergenza l'Italia stesse registrando molti meno contagi rispetto agli altri Paesi europei a inizio autunno. Ma nel giro di un mese le colonne fondamentali dei presidi anti-Covid sono saltate: in primis per quanto riguardo il tracciamento dei contatti, che aveva il compito di arginare tempestivamente i nuovi focolai limitado così la diffusione dei contagi. Poi i servizi sanitari territoriali, con le Asl che non riescono più a gestire così tanti casi. E anche il nostro Paese si trova infatti a superare la soglia di un milione di contagi, con decine di migliaia di nuove infezioni al giorno.

Ancora prima dell'estate, con la discesa dei nuovi casi e un crollo nella circolazione del virus, sia dal mondo scientifico che da quello della politica sentivamo parlare di "virus clinicamente morto", della necessità di "riaprire tutto subito" e della seconda ondata che non ci sarebbe stata, ma era solo un'invenzione del governo per "terrorizzare la gente" e mantenere poteri straordinari. Delle dichiarazioni che, anche se non condivise dal team di medici e scienziati che hanno supportato il governo durante la gestione dell'emergenza, hanno comunque portato parte della popolazione a credere che il peggio fosse ormai passato e che il nostro Paese fosse ormai immune a un nuovo picco. Nonostante questo si vedesse all'orizzonte degli altri Paesi europei, appena al di là dei confini.

Qual è la situazione oggi

Un rallentamento della diffusione del virus è stato descritto come un epilogo dell'emergenza, nonostante le voci contrarie che avvertivano sulla possibilità di una recrudescenza in arrivo con l'autunno. Ed è così che anche l'Italia si è vista travolgere dalla seconda ondata di contagi. Il decimo Paese più colpito al mondo e il sesto per numero di morti. Questa mappa interattiva di "Our World in Data", un sito di pubblicazione scientifica che elabora i dati e mostra i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo rispetto a varie tematiche, evidenzia l'andamento dei decessi legati al coronavirus a livello globale dal 31 dicembre 2019 al 13 novembre 2020. I numeri sono sempre quelli raccolti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e si tiene conto del numero di vittime per milione di abitanti. Si nota subito come a marzo l'Italia sia stato il Paese più colpito, il primo ad essere colorato in rosso. Subito dopo, tuttavia, si vede anche come l'infezione si sia espansa a macchia d'olio nel resto d'Europa, in tutti i Paesi vicini uno dopo l'altro. Lo stesso meccanismo, anche se inversamente, avviene dopo lo stallo estivo. Il primo Paese Ue a colorarsi con il rosso dell'emergenza è la Spagna. Seguono Francia e Regno Unito. Poi, inevitabilmente, anche in Italia si contano sempre più morti per Covid-19, segno che la diffusione del virus è tornata ad alti livelli.

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Come sottolinea il ricercatore dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), Matteo Villa, ormai l'eccesso di mortalità legata al coronavirus si registra in quasi tutta Europa occidentale. L'elemento da considerare però, per quanto riguarda l'Italia, non è tanto il fatto che sia in linea con gli altri Paesi europei: "Il dato importante è un altro. In meno di un mese, l'Italia è diventato il Paese peggiore tra quelli monitorati", evidenzia Villa. Un primato che forse poteva essere scongiurato, o perlomeno contenuto. Visto il vantaggio di diverse settimane che il nostro Paese ha avuto sulla seconda ondata rispetto agli Stati vicini. E che però non è servito a evitare, in ultima istanza, severe limitazioni e divieti oggi in vigore.

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