Come l’indagine su Almasri rischia di trasformarsi in un assist involontario a Giorgia Meloni
La giornata politica di martedì 28 gennaio è iniziata con due questioni al centro della scena. Da un lato le sorprendenti parole di Daniela Santanché che – intervistata in Arabia Saudita – è arrivata a sfidare persino Giorgia Meloni e i suoi colleghi di Fratelli d'Italia, per resistere al suo posto di ministra, nonostante le inchieste a carico. Dall'altro l'attesa per l'intervento dei ministri Nordio e Piantedosi, chiamanti in parlamento a chiarire i molti punti oscuri del caso Almasri.
A fine giornata questi due temi sono quasi completamente scomparsi dal dibattito. E la discussione è stata infiammata solo da quello che la maggioranza ha descritto come il nuovo assalto della magistratura contro il governo. Nel mezzo c'è stata la notizia dell'apertura di un'indagine della procura di Roma sulla premier Giorgia Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano per favoreggiamento e peculato, in relazione alla scarcerazione dell'aguzzino libico Almasri.
Già solo il fatto che a dare la notizia dell'inchiesta sia stata la stessa presidente del Consiglio – con un video sui suoi canali social – fa intuire come, al di là delle dichiarazioni ufficiali, il modo in cui si sono messe le cose a palazzo Chigi non dispiaccia affatto. E poco importa – dal punto di vista di Meloni e i suoi – che l'atto notificato dalla procura di Roma alla premier e ai membri del governo sia un passaggio dovuto, di fronte alla denuncia dell'avvocato Luigi Li Gotti, come chiarito dall'Associazione Nazionale Magistrati.
I tempi dell'inchiesta
Subito i parlamentari di Fdi hanno gridato al complotto della sinistra, nonostante Li Gotti vanti una lunga militanza nelle fila del Msi e di An, prima di approdare in parlamento con il partito di Di Pietro. In realtà per Meloni la situazione che si è venuta a creare offre una serie di vantaggi. Il più immediato è dare un alibi per annullare l'informativa di Nordio e Piantedosi alle Camere. La spiegazione fornita da ambienti di governo è che i ministri non possono discutere di un inchiesta in corso. "Avrebbero dovuto parlare con un avvocato a fianco", dicono fonti vicine alla premier.
Da questo punto di vista, il timing della procura di Roma nel notificare la notizia dell'apertura dell'indagine più che un attacco sembra un assist al governo. I pm infatti avevano quindici giorni per trasmettere gli atti al tribunale dei ministri e di conseguenza informare ai soggetti coinvolti nell'inchiesta. Invece hanno scelto di bruciare i tempi e farlo il giorno prima dell'appuntamento alle Camere.
In questo modo hanno dato un appiglio a Piantedosi e Nordio per sottrarsi al dibattito parlamentare a ed evitarli di dover chiarire pubblicamente perché si è scelto di scarcerare e riaccompagnare in Libia un uomo accusato di crimini gravissimi dalla Corte Penale Internazionale. Ora, se vorranno, i ministri potranno dare la loro versione dei fatti solo in un confronto a porte chiuse con i magistrati.
Un nuovo capitolo dello scontro con i giudici
Soprattutto, con l'apertura dell'inchiesta, i termini del dibattito sul caso Almasri sono irrimediabilmente cambiati. Come detto, infatti, la maggioranza ha colto subito la palla al balzo per deviare il dibattito, dalle possibili responsabilità politiche degli uomini di governo nella vicenda. E trasformarlo invece in un nuovo capitolo dello scontro tra politica e magistratura, anzi di più, in una "vendetta" dei magistrati per la riforma della Giustizia, portata avanti dal governo.
Hai voglia a ripetere che quello dei pm di Roma è solo un atto dovuto, d'ora in poi discutere del merito della questione sarà quasi impossibile, perché gli uomini e le donne dei partiti di maggioranza butteranno sempre la palla in tribuna, parlando di un disegno contro il governo delle toghe rosse. E soffiando sul fuoco della battaglia contro i giudici, potranno anche scansare altre questioni spinose, dalla grana Santanchèin giù.
È facile prevedere che se poi – come pronosticato sia da fonti di maggioranza che da quelle della magistratura – si arriverà a una rapida archiviazione dell'indagine, l'assoluzione giudiziaria verrà spacciata come un'assoluzione politica. Vedete, diranno Meloni e i suoi, se la magistratura ha detto che non ci sono reati, vuol dire che abbiamo fatto bene a fare quel che abbiamo fatto. Come se responsabilità penale e responsabilità politica coincidessero. Insomma, non è paradossale sostenere che l'inchiesta nei confronti di Giorgia Meloni e dei suoi ministri, per il governo potrebbe rivelarsi una gran fortuna.