L’accordo tra Enrico Letta e Carlo Calenda in vista delle elezioni del 25 settembre non chiude esplicitamente le porte all’ingresso in coalizione di Italia Viva. Il patto elettorale tra Partito democratico e Azione +Europa, infatti, considera altre liste all’interno dell’alleanza e si limita a mettere dei paletti per quel che riguarda le candidature all’uninominale: i leader di partito dovranno guadagnarsi l’elezione con la propria lista, nella componente proporzionale del Rosatellum. Tuttavia, anche a giudicare dalle reazioni di queste ore, l’accordo sembra la pietra tombale su ogni possibilità di ingresso dei renziani nella coalizione che proverà a contendere al centrodestra e al Movimento 5 stelle la guida del Paese.
C’è prima di tutto da considerare un dato politico: Carlo Calenda ha fatto capire di preferire la concretezza dell’alleanza con il Pd alla costruzione di un polo di centro, a forte connotazione liberale, che potesse essere autonomo alle politiche. È saltato il percorso immaginato da Matteo Renzi e da altri esponenti centristi, probabilmente anche per effetto della rottura tra democratici e Movimento 5 stelle, che di fatto aveva già spostato verso il centro l’asse di qualunque coalizione a guida Pd. La grande casa della famiglia liberale e moderata, insomma, non la vedremo nemmeno a queste elezioni: resta una suggestione, un insieme di leader con pochi voti che ha provato a costruire un progetto politico intorno a Mario Draghi, un leader che peraltro non aveva alcuna intenzione di fasi coinvolgere.
Italia Viva, che più di tutti aveva lavorato a tale progetto, si trova isolata, proprio mentre comincia la grande rincorsa dei centristi senza esercito a un seggio nella prossima legislatura. Se è vero che Calenda stesso ha specificato che “non ci sono veti dal punto di vista della coalizione”, è chiaro che Renzi non può ridursi a mendicare un seggio in qualche uninominale per i suoi fedelissimi.
Non per lui, attenzione. Già, perché non sfuggirà che uno dei punti dell’accordo vieta espressamente che all’uninominale sia possibile candidare “i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5S (usciti nell’ultima legislatura), gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)”. Questo vuol dire che, anche nel caso di un accordo tra Iv e Pd/Azione/+Europa, Matteo Renzi non potrebbe essere candidato nei collegi uninominali, men che meno avere un seggio blindato. E, dunque, dovrebbe provare a farsi eleggere al proporzionale, raggiungendo la soglia di sbarramento del 3%. L'alternativa sarebbe entrare nelle liste del Partito democratico, sfruttando quello che Letta chiama "diritto di tribuna per i leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra", per farsi eleggere. Piuttosto improbabile, nel suo caso.
La legge elettorale è un altro dei motivi che spingono Italia Viva ad andare da sola alle prossime elezioni. La soglia di sbarramento nazionale al 3% è un ostacolo importante, che rischia di tenere i renziani fuori dal Parlamento. Da questo punto di vista, andare in coalizione con Letta e Calenda potrebbe essere finanche controproducente, perché il rischio di rimanere stritolati da formazioni con offerte politiche molto simili è davvero alto. Andare da soli significherebbe marcare comunque una discontinuità, una differenza che potrebbe magari attrarre gli elettori centristi che non digeriscono coalizioni ampie ed eterogenee, piene di transfughi e trasformisti. Sul piano comunicativo, poi, Renzi spera di beneficiare indirettamente di un possibile ingresso in coalizione dei Verdi/Sinistra Italiana, che gli consentirebbe di impostare una campagna elettorale molto aggressiva. In effetti, per quanto il programma di Pd/Azione sia pieno di richiami all'agenda Draghi, la presenza di esponenti che a quel governo non hanno votato la fiducia potrebbe dare ai renziani lo spazio per rivendicare di essere l'unica forza coerente fino in fondo.
Da soli e alla ricerca di un complesso 3%, però.
Nei fatti, è però l’unica scommessa che resta a Matteo Renzi: costruire da solo una nuova offerta politica e cercare i voti di quei moderati delusi dalle scelte di Calenda e Berlusconi. I sondaggi, per ora, non sono favorevoli e la soglia del 3% rischia di restare lontana. Ma quale alternativa c’è?