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Come il Governo ha cancellato i referendum della CGIL

Approvato alla Camera il decreto che, di fatto, “cancella” i quesiti referendari su voucher e codice appalti, accogliendo le richieste della CGIL. Tuona l’opposizione: “Si cede al ricatto”; “Governo ha paura delle urne”. Ma la scelta dell’esecutivo è pienamente legittima e per nulla “anti-democratica”.
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La Camera dei deputati ha dato il via libera al decreto 25/2017, Lavoro accessorio e responsabilità solidale, che ora passa al Senato per il via libera definitivo. Si tratta del provvedimento che il Consiglio dei ministri ha deliberato per “cancellare” i due referendum della CGIL, appunto quelli riguardanti l’abolizione dei voucher e l’abrogazione delle disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti.

Come noto, infatti, nel gennaio di quest’anno la Corte Costituzionale aveva dichiarato ammissibili due dei tre referendum per i quali la CGIL aveva raccolto le firme nella mobilitazione di questa estate, ritenendo invece non ammissibile il quesito che mirava a reintrodurre l’articolo 18, ampliandolo a tutte le aziende con più di cinque lavoratori. La data scelta dal Consiglio dei ministri per la consultazione era stata il 28 maggio, che dunque avrebbe preceduto il primo turno delle Comunali, in programma l’11 giugno.

Le forze politiche che compongono la maggioranza di Governo, anche in ragione della vicinanza delle due consultazioni, hanno deciso di accogliere le richieste della CGIL, intervenendo sulla materia e, di fatto, facendo venir meno i presupposti del referendum. Una scelta duramente criticata dalle opposizioni: Forza Italia ha parlato di “follia” nell’abolizione dei voucher, il MoVimento 5 Stelle ha detto di considerare questo un “Governo di irresponsabili, che pensa solo a salvarsi per evitare le urne”, la destra ha ipotizzato che si sia ceduto al “ricatto” della Cgil. Il Sindacato, invece, ha sintetizzato con grande efficacia la propria posizione:

Cosa cambia con il decreto del Governo

In estrema sintesi, il decreto si compone di due “blocchi”, corrispondenti grosso modo ai quesiti referendari su cui si interviene. L’articolo 1 sancisce la soppressione della disciplina del lavoro accessorio, abrogando gli articoli 48,49 e 50 del decreto legislativo numero 81 del 2015 (una delle “gambe” del Jobs Act) e prevedendo un regime transitorio per i voucher già richiesti fino al 17 marzo 2017, i quali possono essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017.

L’articolo 2 modifica quella parte del codice degli appalti che riguarda la “responsabilità solidale tra committente e appaltatore in relazione ai trattamenti retributivi (comprensivi delle quote di trattamento di fine rapporto), ai contributi previdenziali e ai premi assicurativi dovuti ai lavoratori subordinati in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”. In pratica non si potrà derogare al principio della responsabilità collettiva per gli appalti e “viene eliminato il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore, in base al quale, attualmente la possibilità  di intentare l'azione esecutiva nei confronti del committente è esercitabile solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori”.

Cosa succede adesso? L'intervento del Governo dovrebbe scongiurare i referendum, considerato che "le disposizioni contenute nel dl realizzano un effetto abrogativo analogo a quello che discenderebbe dall'abrogazione referendaria", eccezion fatta per la disciplina transitoria dell'utilizzo dei voucher. Su questo strumento, però, il Governo avvierà una riflessione con le parti sociali, per provare a normare il lavoro accessorio, magari limitandolo alle sole famiglie (si parla spesso del caso delle babysitter) ed escludendolo per le aziende e le amministrazioni pubbliche.

La questione è complessa, comunque, come ha spiegato Guglielmo Epifani, di Articolo 1 – Mdp, nel suo intervento:

Non si può pensare infatti di abrogare queste norme per evitare il Referendum e dopo reintrodurre fittiziamente altre formule che hanno esattamente lo stesso segno e le stesse caratteristiche di ciò che è stato abrogato, perché questo vorrebbe dire che si finisce per ingannare non solo i lavoratori, i cittadini che hanno raccolto le firme, ma si finisce per ingannare anche il diritto dovere degli elettori italiani di esprimersi democraticamente sull’uso e l’abuso di questi istituti.

D'altro canto, la Cgil ritiene questo risultato solo "il primo passo" verso la definizione di "una nuova carta del lavoro" e ricorda che, in effetti, ci sono già contratti per regolamentare il lavoro "flessibile" che possono sostituire fin da subito i voucher. Insomma, si tratterà di capire nei prossimi mesi se questa sia stata solo una vittoria politica del sindacato o un cambio di passo sostanziale nell'approccio dell'esecutivo alle questioni basilari del mondo del lavoro e alla nuova sfida per i diritti.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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