Carlo Calenda è arrivato alla politica dal mondo degli affari. Conosce Luca Cordero Di Montezemolo a Maranello, e quando il dirigente della Ferrari arriva al vertice di Confindustria lo chiama a corte. Nel 2009 è sempre Montezemolo a volerlo generale della sua creatura Italia Futura, che partecipa nel 2013 alla lista Monti.
Lo stesso Calenda è candidato nella quota dei montezemoliani, e non viene eletto. Poco male farà il viceministro del governo di Enrico Letta. Poi saluta Scelta Civica e si imbarca nel PD renziano dando il via alla sua folgorante ascesa: prima rappresentante dell'Italia in UE, poi ministro. Alle successive elezioni europee sembra indispensabile, lancia il suo manifesto "Siamo Europei" e il Partito Democratico gli regala mezzo simbolo.
Insomma quando fonda Azione Carlo Calenda ha fatto il manager e il ministro, non ha però idea di come si fa un partito. I riferimenti sono alti: il Partito d'Azione, il liberal socialismo, i fratelli Rosselli, Gobetti. Ma a fare ancora la sua fortuna è la sua capacità comunicativa: schietta, diretta, che non disdegna l'invettiva (su Twitter era famoso perché ogni tanto perdeva la pazienza lanciando strali contro anonimi utenti).
Chi scrive è sempre rimasto impressionato dalla sua capacità di occupare lo spazio con il corpo, da autentico leader, di parlare mischiando una romanità vera e un po' coatta, con l'eloquio da tecnocrate che ha studiato in prestigiose università. Quando si candida a sindaco di Roma con una voglia matta di sabotare il PD si tatua sul polso SPQR, il giorno prima di sposarsi completamente ubriaco si tatua uno squalo: tecnocrate sì, ma anche uomo del popolo e con una sana voglia di vivere.
Ora che sembra aver iniziato una parabola discendente di cui è difficile prevedere l'esito, mentre in tanti abbandonano il partito, Carlo Calenda con grande serenità continua a motteggiare. Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini salutano e prendono la porta. Lo stesso fa Giusy Versace. Tutte e tre passano al misto, ma sarebbero pronte a tornare nell'area di governo con la cenere in testa. Calenda continua però con affermazioni perentorie, a mostrarsi sicuro di essere nel giusto, per nulla preoccupato all'apparenza di perdere pezzi e di non avere più alleati.
Quello che il leader di Azione sembra non voler capire è che in politica non importa chi ha "ragione". In politica non basta dare istruzioni, impartire ordini, asserire in modo autorevole e/o autoritario per trasformare la realtà. Quello che conta sono i rapporti di forza, i voti, la capacità di mobilitare l'opinione pubblica e così via. Lui d'altronde è lo stesso che prima ha detto peste e corna di Renzi, per poi farci un accordo e farlo saltare mandando all'aria il Terzo Polo fino a trovarsi nella situazione di oggi, non proprio rosa e fiori.
Tutto questo filosofeggiare attorno a schemi e alleanze per non volere guardare in faccia la realtà: oggi è finito l'anti populismo dei populisti di centro, dei competenti e dei predestinati per censo e classe a governare. In un quadro politico che va normalizzandosi in due schieramenti, uno di centrodestra e uno di centrosinistra sempre più polarizzati, la battaglia delle idee si può condurre all'interno di uno dei due schieramenti, non volendo imporre una terza via la cui consistenza elettorale sembra veramente poca cosa.
Lo ha capito, da pragmatico qual'è, anche Matteo Renzi che tenta di correre ai ripari chiarendo che lui è contro e alternativo a Meloni (almeno per ora eh). E essere contro e alternativo a Meloni vuol dire stare con Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli. Tertium Polo non datur, visto che a Calenda piacciono tanto Cicerone e il latino.