Ieri titolavamo "Star Wars", puntando l'accento sulle divisioni interne al M5S e sul caos dell'amministrazione capitolina. Oggi eravamo pronti a cambiare titolazione di apertura, almeno prima di leggere delle dimissioni del minidirettorio e della sostituzione di De Dominicis (che non avrebbe i titoli per fare l'assessore al posto di Minenna). Perchè, in effetti, la serata di ieri sembrava aver sciolto molti dei nostri (e non solo nostri) dubbi.
Chiariamoci, la scelta di andare in piazza nel pieno di una crisi profonda e divisiva rappresenta, comunque la si pensi, una novità assoluta per il panorama politico italiano. Nel momento più complesso della breve esperienza amministrativa della Capitale, i vertici del MoVimento scelgono di celebrare con un bagno di folla “l’accordo per la tregua” firmato con Raggi e il suo gruppo. Anche la location assume un valore simbolico, almeno in prospettiva futura: Nettuno, sede della tappa conclusiva del Costituzione coast to coast di Alessandro Di Battista, il meno coinvolto dal caos nella Capitale, quello che ha saputo ritagliarsi l’immagine di persona lontana da intrighi e strategie e più vicina alla sua gente. Ed è lui stesso a trovare una sintesi, che suona anche come manifesto programmatico per il futuro della Raggi e dell’esperienza romana: “La piazza è tutto. Stare insieme è tutto”.
Tutto risolto, dunque? Non proprio, ovviamente, ma il compromesso raggiunto tra direttorio – base romana – Sindaco accontenta tutti. Muraro confermata (in attesa di sviluppi), come voleva Raggi; Marra allontanato dal centro nevralgico del Campidoglio e cerchio magico ridimensionato, come chiedevano alcuni parlamentari e parte della base grillina di Roma; via il minidirettorio, struttura che, a conti fatti, ha soltanto complicato le cose; qualche bacchettata ai parlamentari che si erano autoassegnati ruoli di primo piano e peccato di sovraesposizione mediatica; un riequilibrio del peso politico dei singoli all'interno della struttura di comando grillina.
Le prossime settimane saranno però decisive, poiché si capirà se Raggi ha intenzione di adottare un approccio “collegiale” nelle decisioni, partecipato nelle scelte strategiche e trasparente nella messa a punto della macchina amministrativa (nomine, ricollocamenti, riassetto delle partecipate). Il modello Torino, insomma.
Ci sono vincitori e vinti a Roma?
Intanto però c’è da tirare le somme di una vicenda che ha mostrato con lampante evidenza quale sia la portata della trasformazione del MoVimento, organismo in cui coesistono posizioni diversissime, aspirazioni individuali, piccole gelosie, errori di gestione, "infiltrati e strateghi improvvisati". Il tutto con una pressione mediatica incredibile, che esaspera le contrapposizioni e aumenta la tensione interna.
“Voglio ringraziare quelli che sono stati vicino alla Raggi, che l’hanno protetta e hanno fatto sì che stiamo sfondando un sistema incancrenito da 50 anni”. Così Grillo dal palco di Nettuno ha sostanzialmente archiviato l’esperienza del mini-direttorio, gruppo che ha provato a mediare senza successo tra Sindaco e fronda romana, incartandosi in strategismi e incomprensioni, fino al surreale caso della mail e dei messaggi tra Taverna e Di Maio (senza che sia chiaro come abbiano fatto a finire sui giornali). Ma il peso dei "corpi intermedi" nel M5S è ancora la grande incognita. Se Grillo non perde occasione per elogiare il direttorio, sono in molti a pensare che questo sistema non funzioni.
A esplicitare le tante perplessità degli eletti è una fra le più accorte (nonché rispettate dai militanti), la senatrice Barbara Lezzi. “Quanto successo nelle ultime ore dimostra come quattro o cinque persone non possano gestire da sole un movimento grande come il nostro”, dice al Fatto, chiosando: “Serve un organo di almeno 30-40 persone […] Era quanto voleva fare Gianroberto Casaleggio. Me lo disse lui stesso, pochi giorni dopo la creazione del Direttorio: ‘Questa è una cabina di regia, ma presto dovrà essere allargata’, mi spiegò”.
Una struttura di questo tipo aiuterebbe la gestione di casi simili a quello che ha coinvolto Raggi? Difficile a dirsi, ma di certo quello della collegialità delle decisioni e della gestione "amministrativa" è problema aperto. Che si incrocia con la questione della valorizzazione della classe dirigente (quella che si è formata in Parlamento, essenzialmente, e che non vede riconosciuto il lavoro fatto in questi anni) e con la partita per la leadership, che è tutt'altro che chiusa (e sbaglieremmo a pensare che le ambizioni di Di Maio siano state ridimensionate dopo gli errori di gestione del caso Muraro).
Problematiche delle quali sarà investito (di malavoglia) Beppe Grillo, che non a caso ha incontrato i membri del direttorio e altri parlamentari nel day after. La sua irritazione nei confronti della Raggi è nota, così come è nota la sua ritrosia a occuparsi di beghe individuali o di fazione. Però, il suo ruolo di garante ora diventa fondamentale, e non a caso ha usato il termine "vigilare". Roma e Raggi restano sotto osservazione, il direttorio deve dimostrare di essere cresciuto, un paio di parlamentari devono dire "cosa vogliono fare da grandi", ma soprattutto la base del MoVimento deve tornare a fare la base.
“Ma le palle non devono tirarle fuori loro (il direttorio, ndr), che lo hanno dimostrato, ma voi”, ha chiosato Grillo dal palco di Nettuno rivolgendosi ai militanti. Concetto che sarà al centro delle giornate di Palermo, che a questo punto diventano banco di prova fondamentale per il popolo a 5 Stelle. Chiamato a ritrovare quello “spirito delle origini”, quella partecipazione attiva, quella militanza, insomma, che è la precondizione per l’assalto a Palazzo Chigi. Che è la vera battaglia del MoVimento 5 Stelle.
E che, sia detto per inciso, potrebbe incrociarsi paradossalmente con la vittoria del Sì al referendum e con una conferma dell’Italicum (e del ballottaggio). Ma siamo alla fantapolitica, per ora.