“Sta passando l’idea che chiunque sia contro qualcosa, conseguentemente stia con i violenti e i sabotatori che vogliono distruggerla. È così per l’Expo, è così per i trafori delTav, è così in ogni, singola, maledetta situazione in cui la maggioranza ha già deciso, e chi si oppone va criminalizzato”. Così scrive Rocco Olita commentando i fatti di Milano e centrando il punto: il rischio di assuefarsi alla normalità, o meglio, a questa strana concezione della normalità. Un atteggiamento che altro non è che il riflesso condizionato e spontaneo rispetto alla società dei (finti) dualismi, delle (continue) contrapposizioni, della (falsa) alterità. È la risposta più naturale e logica al bombardamento mediatico – politico incessante, che ci spinge a prendere sempre una posizione, ad allontanare le sfumature, a cancellare i particolari, a sottovalutare le piccole differenze. È il tempo della scelta di campo, ci dicono. È il momento di prendere una posizione, ci ripetono. È il momento di dire da che parte stai, concludono.
E lo fanno tutti, sia chiaro. Soprattutto l’uomo solo al comando, col suo bonapartismo edulcorato e ragionevole che si nutre della commistione fra i livelli (esecutivo e legislativo), del “fastidio” per i tempi lunghi della dialettica parlamentare, delle prove di forza, dell’utilizzo sistematico di decreti e questioni di fiducia, ma soprattutto del continuo ricorso ad immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo. E ogni distinguo nel merito delle scelte viene completamente astratto dal suo contesto e calato nel gigantesco frullatore renziano delle opinioni. Pensi che approvare l'Italicum con la fiducia sia inaccettabile? Bene, sei dalla parte di chi ha bloccato il Paese per decenni. Credi che lo Sblocca Italia sia un regalo ad imprese e corrotti? Allora sei uno di quelli che sguazza nella palude dei ritardi e della burocrazia. Pensi che la riforma della Costituzione stia spazzando via contrappesi essenziali? Sei l'iscritto numero uno al partito del non fare. Valuti la riforma della scuola con preoccupazione? Sei un ingrato che non vuole l'assunzione di oltre centomila precari. Ti ostini a pensare che col Jobs Act si siano venduti per pochi spiccioli alcuni diritti essenziali dei lavoratori? Sei aggrappato alle mammelle del Sindacato, vera palla al piede del Paese. Ipotizzi che l'EXPO sia un carrozzone squassato da scandali, inchieste, corruzione e malaffare e che non rappresenti il meglio di questo Paese, considerati i costi, i ritardi, le falle nella sicurezza eccetera? Sei un gufo che sa dire solo no.
È un derby continuo, stancante, stucchevole, con punte di ridicolo. Quelle che raggiungono gli ex pasdaran di D'Alema, Bersani, Letta folgorati dal messia fiorentino, costretti a giustificare con piglio integralista ogni capriccio del loro nuovo leader; quelle che raggiungono i giovani prodotti della partitocrazia, che, dopo essere stati cooptati ed indicati dall'alto per tutta la loro carriera politica, hanno la presunzione di pontificare sulla forma partito, sulla democrazia liquida, sul modello americano; quelle che raggiungono i giornalisti dal triplo incarico, quelli che taggano "Matteo" perché non si perda l'ultima loro chinata di capo e che hanno reinventato il concetto di intervista in ginocchio; quelle della pletora di consiglieri ed opinionisti, sempre così bravi a spiegarci il perché "gli altri" non hanno capito nulla.
Una politica che, lungi dall'essere radicalmente innovativa, si nutre delle immagini di alterità e conflitto e ha sempre, sempre, sempre bisogno di un nemico. E, come da lettura di Schmitt, il nemico è sempre l'altro, l'estraneo al "noi" (pronome che Renzi utilizza in maniera ossessiva fin dalla prima Leopolda). La cosa singolare della politica renziana è che chiunque può essere o diventare "l'altro", in ragione del tipo di conflitto che con lui si instaura, ma anche in ragione di scelte specifiche, o di dissensi estemporanei. Condizioni che, si badi bene, proprio perché sono completamente deideologizzate e continuamente "storicizzate", possono mutare rapidamente: il nemico di ieri è pronto ad essere l'amico di oggi e viceversa. A patto che sia "lui" a stabilirlo, ci mancherebbe.
Anche il nemico a progetto, insomma.