Come cambieranno le pensioni nel 2024 con la manovra del governo Meloni
Niente quota 41, perlomeno non in modo strutturale, e ancora una volta niente superamento della riforma Fornero. Sulle pensioni, con tutta probabilità, la prossima legge di bilancio del governo Meloni cambierà relativamente poco. Ciò che si sa è che gli obiettivi sono tanti e che la priorità sarà per le misure di aiuto ai redditi bassi e alle imprese, oltre che sulla denatalità. Quest'ultima è proprio uno dei problemi che bloccano una riforma delle pensioni, lo ha detto il ministro dell'Economia Giorgetti: "Nessuna riforma previdenziale tiene, nel medio e lungo periodo, con i numeri della natalità che vediamo oggi".
Così, la stima è che al capitolo pensioni verrà dedicato circa un miliardo e mezzo di euro. Una cifra contenuta, che non permetterà novità ambiziose. Sono già previsti due incontri con i sindacati, il 5 e il 18 settembre, per presentare e discutere i dettagli. A fine settembre, la nota di aggiornamento al Def (o Nadef, un documento che dà il quadro della situazione economica) farà più chiarezza su quanti soldi ci sono effettivamente. Anche perché sullo sfondo restano la rivalutazione delle pensioni, che si effettua ogni anno in base al tasso d'inflazione e costerà alcuni miliardi di euro, e l'aumento delle pensioni minime chiesto a gran voce da Forza Italia.
Come cambia la pensione anticipata nel 2024, verso quota 103
Per quanto riguarda il pensionamento anticipato, la strada più fattibile è quella di una conferma di quota 103. Ovvero, in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Il sogno (e la promessa elettorale) della Lega è quella di una più semplice quota 41: con 41 anni di contributi si va in pensione, a prescindere dall'età. Anche i sindacati sosterrebbero l'idea, ma al momento i costi la rendono infattibile.
Una possibilità di compromesso sarebbe quella di una quota 41 ‘parziale'. Pensione anticipata con 41 anni di contributi, ma calcolata solo con il metodo contributivo (quindi chi la usa dovrebbe ridursi la pensione), in vigore solo per un periodo limitato (ad esempio solo per il 2024) e solo per alcune categorie di lavoratori. Si tratterebbe di una forma che permetterebbe alla Lega di rivendicare il successo, facendo comunque risparmiare lo Stato rispetto alla ‘vera' quota 41.
Novità per il ‘super' contratto d'espansione
Un ampliamento potrebbe arrivare per la misura del contratto d'espansione. Come anticipato dal governo già a giugno, sarebbe allo studio un meccanismo unico per tutti gli esodi incentivati. Per sostituire isopensione e la trattativa privata dipendente-azienda, ma anche l'attuale contratto di espansione, potrebbe arrivare il ‘super' contratto d'espansione.
Attualmente, questo contratto permette di andare in pensione cinque anni prima, ma in quel periodo l'azienda smette di versare i contributi. Perciò, l'assegno finale è più basso. Ogni tre contratti d'espansione stipulati, l'azienda deve assumere un nuovo dipendente. Nel complesso quindi ci guadagna l'azienda, lo Stato spende meno e il pensionato riceve un assegno più basso. Uno strumento simile potrebbe essere allargato a tutte le piccole e medie imprese, semplificando le procedure di esodo.
Ape sociale e Opzione donna, possibile fusione
L'Ape sociale, introdotto nel 2017 dal governo Gentiloni e sempre confermato, si rivolge a categorie specifiche (invalidi civili, caregiver, disoccupati) con almeni 63 anni di età e 30 di contributi. Questi ricevono un contributo fin quando non raggiungono l'età per avere la pensione di vecchiaia, cioè 67 anni. Ora, oltre a confermarlo, il governo potrebbe ‘allargare' l'Ape sociale finendo per inglobare anche Opzione donna.
Allargando l'Ape sociale ad altre categorie (ad esempio chi svolge lavori gravosi e usuranti), si potrebbero includere anche le donne. Già oggi, per le donne che accedono all'Ape sociale i requisiti contributivi sono ridotti (un anno per figlio, fino a due anni). Così si può ottenere la misura con 63 anni di età e 28 di contributi.
Abbassando l'età a 60, si avrebbe una forma di anticipo simile a quella di Opzione donna, che dopo le modifiche del governo Meloni è diventata utilizzabile per pochissime lavoratrici: 60 anni di età (59 con un figlio, 58 con due o più figli) e 35 anni di contributi, ma solo per caregiver, invalidi civili e lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende in crisi.