Dalle elezioni politiche è passato addirittura un mese e, non solo non abbiamo ancora ben chiaro chi le ha vinte, ma non sappiamo con certezza neanche se ci sarà una via d’uscita alla crisi da assenza di maggioranza. Finalmente in queste ore il Presidente della Repubblica riceverà i rappresentanti dei gruppi parlamentari e proverà a gestire il risultato elettorale, cercando di capire quale sia il leader politico cui affidare la formazione del nuovo governo e, soprattutto, se esiste la minima possibilità che questa legislatura possa realmente durare.
La prima giornata di consultazioni è stata abbastanza interlocutoria, con i colloqui con Casellati, Fico e Napolitano che non sono andati oltre le considerazioni di prassi e quelli con i rappresentanti di autonomie e gruppo Misto che non avrebbero potuto aiutare Mattarella a ricomporre il puzzle. Più interessante il colloquio con i rappresentanti di Fratelli d’Italia in chiusura di giornata, anche se la linea del partito di Giorgia Meloni è nota da tempo: governo della coalizione di centrodestra, meglio se con incarico a Salvini e con il sostegno di chi ci sta in Parlamento; tendenzialmente Fdi non sarebbe disponibile a seguire la Lega in una eventuale alleanza con i grillini, anche per la prospettiva di restare schiacciati dai due colossi, che potrebbero accordarsi per una legge elettorale penalizzante verso i piccoli partiti.
La giornata di domani, invece, dovrebbe essere particolarmente interessante. O almeno dovrebbe. Proviamo a capire quali sono le carte in tavola.
Il Partito Democratico
I primi a salire al Colle saranno i rappresentanti del Partito Democratico: Marcucci e Delrio, capigruppo a Senato e Camera, Orfini, presidente del partito, con il segretario Martina. Renzi, come noto, non ci sarà. “Dopo una sconfitta come quella subita, il posto del Pd è all’opposizione. Tanto più che i vincitori sono due poli oggi fusi tra loro programmaticamente e culturalmente […] Ascolteremo con la consueta attenzione quando andremo alle consultazioni. Abbiamo la massima fiducia e rispetto per il lavoro difficile che dovrà fare Mattarella, ma il compito di dirigere il Pd non può essere scaricato sul capo dello Stato”. Così Orfini aveva sintetizzato la linea del partito qualche giorno fa, ribadendo la scelta dell’immobilismo imposta dalla componente renziana. Tesi sostanzialmente portata avanti con coerenza dal segretario reggente Martina nel replicare alla recente apertura di Di Maio per un patto di governo.
Mattarella non può però limitarsi a prendere atto dell’indisponibilità del PD a sostenere un governo politico di qualsivoglia tipo. Il Capo dello Stato proverà a sondare il terreno sue due "opzioni" all'uscita dall'impasse: un appoggio esterno diretto a un eventuale governo del MoVimento 5 Stelle, un appoggio esterno anche indiretto (la differenza sta nei numeri) che favorisca la nascita di un governo di centrodestra a trazione leghista.
I democratici dovrebbero rispondere picche, spiegando come solo un cambiamento dei rapporti di forza interni al partito possa portare a decisioni di segno opposto. Più tempo passa, però, più potrebbero aprirsi crepe all’interno della muraglia renziana. Ve lo raccontavamo in questo pezzo di scenario:
"L'errore è bocciare una soluzione leggendola con gli occhi del presente", ci spiega la nostra fonte, aggiungendo: "L'instabilità non piace a nessuno, da Bruxelles cominceranno ad arrivare segnali chiari, basterà poco per incrinare la fermezza di parlamentari e alti dirigenti del PD, lo spread che sale, nessuno che fa il DEF, lo spettro dell'aumento dell'IVA, qualche sondaggio che ti affossa…".
Uno scenario di questo tipo prevede dunque il "naturale cedimento" del PD alle pressioni di Mattarella e della Ue, che porti alla scelta di "far nascere" un governo del centrodestra: "Ci sono tante strade, si sa come funziona in questi casi. Bastano un paio di interviste, qualche apertura, una direzione convocata in fretta in cui si approva un documento come quello che permise la nascita del patto del Nazareno, in cui si usavano mille giri di parole per non dire esplicitamente che si stava riportando Berlusconi al governo del paese"
Forza Italia
Per Forza Italia saliranno al Colle le capigruppo Annamaria Bernini e Mariastella Gelmini, accompagnate dal presidente del partito, Silvio Berlusconi. Come noto, infatti, non serve essere eletti o eleggibili in Parlamento per prendere parte alla consultazioni col capo dello Stato, basta avere una “carica di partito elettiva”. Berlusconi si lamenterà con Mattarella dell’irritualità del comportamento di Di Maio e spiegherà la tesi di Forza Italia: il centrodestra ha vinto le elezioni e ha il diritto – dovere di governare, mancano una cinquantina di seggi tra Camera e Senato che si possono “recuperare” col passare del tempo, il problema è solo far nascere il governo e far partire compiutamente la legislatura. Come? Questo è il compito che spetta a Mattarella, che dovrà convincere il PD a fare un “gesto di responsabilità”, magari con qualche garanzia. Che a Palazzo Chigi vada Salvini, un altro esponente leghista o un “tecnico”, poco cambia: l’obiettivo del Cavaliere è evitare un immediato ritorno alle urne, che sarebbe oltremodo nefasto per il partito. In tal senso, FI potrebbe anche appoggiare un governo di larghe intese che comprenda il MoVimento 5 Stelle (nonostante le dichiarazioni di queste ore), a patto però del riconoscimento della figura di Berlusconi quale interlocutore politico.
Salvini e la Lega
La Lega ha oltre 180 parlamentari e la delegazione che salirà al Quirinale sarà composta dai capigruppo Centinaio e Giorgetti, oltre che dal leader Matteo Salvini. Mattarella si troverà di fronte la “massima disponibilità a risolvere la crisi”, con alcun punti fermi: un riconoscimento della vittoria elettorale e del risultato della Lega all’interno della coalizione, l’impostazione di un programma di governo a trazione leghista, l’indisponibilità a sostenere un governo tecnico. Il "mandato pieno" a Salvini verrà presentato come la logica conclusione del processo post elettorale, ma è difficile che, almeno in questa prima fase, la Lega porrà toni ultimativi al Capo dello Stato.
Salvini è nella condizione di poter respingere ogni imposizione o veto, considerando anche che la Lega è l’unica forza politica oltre al M5s a non essere preoccupata di un ritorno alle urne in tempi celeri (in effetti, il problema è che anche lui sa che per questioni tecniche e di opportunità di tornare a votare presto non se ne parla). Sa però che questa è una grande occasione per imporre la propria egemonia nel campo a destra e per “agevolare” il travaso di parlamentari ed elettori da FI alla Lega. Per ora sembra convinto che il modo migliore per raggiungere l’obiettivo sia non rompere l’alleanza di centrodestra. Ma, come per il PD, il tempo potrebbe cambiare le cose e avvicinarlo ulteriormente al M5s. Mattarella è alla finestra.
Il MoVimento 5 Stelle
Gli ultimi a salire al Colle saranno i rappresentanti del gruppo più numeroso: Danilo Toninelli, Giulia Grillo e Luigi Di Maio per il MoVimento 5 Stelle. Anche la linea del MoVimento 5 Stelle è tutto sommato nota, grazie anche alle ultime dichiarazioni del candidato in pectore alla presidenza del Consiglio, che ha parlato di un “patto di governo” da sottoscrivere assieme a Lega e Partito Democratico. È la concretizzazione, con qualche variazione, di quanto detto in campagna elettorale: come primo partito, il M5s avrebbe reclamato l’incarico di guidare il governo, chiedendo l’appoggio in Parlamento delle forze politiche che si fossero riconosciute nelle proposte per il Paese del MoVimento. Constatata l’indisponibilità di Mattarella nell’assegnare un incarico senza una chiara maggioranza alle Camere, Di Maio ha deciso di fare un passo ulteriore, dichiarandosi disponibile a stilare un programma condiviso e lasciando intendere di poter mettere sul piatto della bilancia qualche carica di una certa rilevanza. Un patto di governo, "non di coalizione", ha specificato, probabilmente intendendo che nella forma non si tratterebbe di una alleanza ma soltanto dell'attuazione di un programma comune. Le condizioni, anche in questo caso, sono abbastanza chiare: la poltrona di Palazzo Chigi spetta a Di Maio, Berlusconi non può essere della partita e Renzi deve continuare a essere semplice spettatore.
Mattarella proverà a capire quali altre opzioni ci siano e magari chiederà a Di Maio di scoprire le carte sull'asse di ferro con Salvini. Il leader Cinque Stelle però non può ancora sbilanciarsi su quel versante (sono ancora molte le distanze di merito e di metodo) e non a caso ha coinvolto il PD nel "patto di governo" proposto a Di Martedì. Serve tempo, dirà Di Maio. E Mattarella annuirà. Optando, con ogni probabilità, per una breve pausa di riflessione seguita da un nuovo giro di consultazioni.