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Com’è finita la storia dell’avvocato denunciato per aver criticato il ministro Minniti

Archiviata l’accusa di “vilipendio delle istituzioni” nei confronti di Gianluca Dicandia, il legale denunciato dopo aver criticato il ministro Minniti durante una manifestazione. Gli atti trasmessi alla Procura erano stati firmati dallo stesso dirigente finito nella bufera per aver ordinato ai suoi uomini durante una carica sui rifugiati: “Se tirano qualcosa spezzategli un braccio”.
A cura di Valerio Renzi
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Ha fatto discutere la scorsa estate la vicenda della denuncia ricevuta da un giovane legale romano che si occupa di politiche delle migrazioni, Gianluca Dicandia, per aver criticato le politiche del governo, e in particolare del ministro dell'Interno Marco Minniti. Le parole finite sotto accusa era state pronunciate durante un presidio a piazza del Pantheon, promosso da Amnesty International in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

A far emergere la vicenda un video di Fanpage.it, in cui si vede la polizia fermare al termine del suo intervento al microfono l'attivista. Fermo a cui seguiva un avviso di apertura d'indagine per il reato di "vilipendio delle istituzioni". Ora questa storia, oggetto anche di interrogazioni parlamentari, è finita, almeno dal punto di vista legale in un nulla di fatto: il pubblico ministero Michele Prestipino Giarritta ha infatti deciso per l'archiviazione. Ma leggendo le motivazioni del pm scopriamo che la decisione non arriva perché il fatto non sussiste, ma perché non si può parlare di vilipendio delle istituzioni, ma "al di più di una lesione dell'onore e del decoro dei singoli destinatari per cui non si rileva essere sporta denuncia".

Noi, che abbiamo ascoltato il discordo di Dicandia pronunciato quel giorno al Pantheon, e lo abbiamo proposto ai nostri lettori per giudicare da sé, restiamo convinti che quella pronunciata fosse solo una critica politica, per quanto aspra, senza tracce di insulti o sbavature. Rimane quindi da chiedersi cosa abbia letto il pm. E per farlo basta andare a vedere le carte prodotte dalle forze dell'ordine. Qui il tono del discorso del giovane avvocato diventa tutt'altro, ecco cosa troviamo a pagine due e tre della comunicazione trasmessa dal Commissariato Trevi Campo Marzio alla Procura:

Dopo il primo intervento prendeva la parola una persona, successivamente identificata per Dicandia Gianluca il quale, dopo aver effettuato una breve premessa, senza alcun apparente motivo ed in modo del tutto gratuito ed incomprensibile, cominciava ad alzare il tono della voce inveendo nei confronti delle forze dell'ordine. Più precisamente il Dicandia Gianluca dopo aver indicato il mezzo della polizia presente sulla piazza pronunciava ad alta voce le seguenti espressioni: "La polizia ci vieta di manifestare, lo permette solo ai fascisti, viviamo in uno stato fascista vi dovete ribellare"

A firmare il documento Francesco Zerilli. Si tratta dello stesso dirigente di polizia finito nella bufera per essere stato catturato dalle nostre telecamere mentre, durante una carica alla stazione Termini seguita allo sgombero degli eritrei dal palazzo di via Curtatone lo scorso agosto, impartiva il seguente ordine ai suoi uomini: "Se tirano qualcosa spezzategli il braccio".

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