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Cittadinanza, marcia indietro dopo la stretta del governo: come possono cambiare le regole

Il decreto voluto da Antonio Tajani per limitare l’accesso alla cittadinanza italiana agli oriundi trova resistenze nella stessa maggioranza. La Lega di Matteo Salvini e, più sfumatamente, Fratelli d’Italia chiedono infatti modifiche per allargare i criteri, mentre dall’estero crescono proteste e pressioni: “Cambiate la legge o boicottiamo i prodotti italiani”.
A cura di Francesca Moriero
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In Italia, la cittadinanza è più di un diritto: è un tema politico, culturale, identitario. E ogni volta che si mette mano alle sue regole, il dibattito si accende. È ciò che sta succedendo in questi giorni intorno al decreto cittadinanza promosso dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Una norma pensata per porre un freno a un fenomeno che sarebbe in crescita: quello delle domande di cittadinanza italiana da parte di stranieri, soprattutto sudamericani, che si dichiarano discendenti di italiani emigrati decenni fa. Una norma che però ha diviso anche la stessa maggioranza di governo, con la Lega di Matteo Salvini in prima fila per chiederne la modifica.

Ecco di cosa si tratta, quali sono le motivazioni di chi sostiene o contrasta la stretta, e quali reazioni sta generando, non solo in Parlamento, ma anche dall'altra parte del mondo.

Cosa prevede il decreto cittadinanza

Il provvedimento oggi in discussione sarebbe nato da un'esigenza precisa: regolare più adeguatamente il meccanismo di acquisizione della cittadinanza italiana per discendenza. Il principio attualmente in vigore è lo Ius sanguinis, cioè il diritto di ottenere la cittadinanza se si è figli di cittadini italiani, anche se nati all'estero. Il nuovo decreto, voluto dal ministro Tajani, restringe sostanzialmente questo diritto e stabilisce sostanzialmente che si può presentare domanda solo se almeno un nonno è nato in Italia. L'intento dichiarato è quello di bloccare la proliferazione delle richieste da parte di persone con legami genealogici sempre più remoti con l'Italia; richieste spesso gestite da agenzie private, che lucrerebbero su veri e propri pacchetti "chiavi in mano" per diventare cittadini italiani. Dal punto di vista pratico, si tratta di una stretta sui criteri: invece di provare genericamente di avere un antenato italiano, bisogna dimostrare ora che la linea familiare passi da un nonno nato fisicamente in Italia. Questa precisazione sembra piccola, ma ha ovviamente un impatto enorme, perché esclude migliaia di oriundi le cui famiglie hanno lasciato l'Italia già nel XIX secolo.

La posizione della Lega

La Lega di Matteo Salvini è il partito che più apertamente si oppone alla nuova norma, presentando un emendamento chiaro: tornare a un criterio più largo, permettendo la richiesta a chiunque abbia almeno un nonno cittadino italiano, anche se nato all'estero. Il ragionamento del Carroccio sarebbe duplice. Da un lato, ci sarebbe il calcolo elettorale: molti degli oriundi che chiedono la cittadinanza italiana provengono da aree legate storicamente all'emigrazione veneta, friulana o lombarda, territori che rappresentano una parte fondamentale della base leghista. Dall'altro, ci sarebbe poi invece un argomento ideologico: secondo la Lega, il decreto Tajani deroga al principio dello Ius sanguinis, perché introduce un elemento territoriale (la nascita in Italia del nonno) che non c'era. Per il partito di Salvini, sostanzialmente, è inaccettabile che un figlio di cittadini italiani nato all'estero venga escluso solo perché suo padre o suo nonno sono nati fuori dai confini nazionali.

Le sfumature di Fratelli d'Italia e gli equilibri nella maggioranza

Fratelli d'Italia non ha attualmente preso una posizione netta come la Lega, ma ha comunque presentato emendamenti per "allargare un po' le maglie" del decreto. Il partito della premier Giorgia Meloni sembra voler infatti mediare tra il rigore voluto da Tajani e le pressioni del resto della maggioranza; una fonte interna al partito avrebbe dichiarato che ci sono "varie sensibilità" e che il testo in discussione è "molto restrittivo". Anche altri gruppi centristi, come i Moderati legati al Maie (il Movimento Associativo Italiani all'Estero), si sarebbero schierati contro la norma, fin dalla sua presentazione. Il risultato è che il testo, pur essendo sostenuto da Forza Italia e dal governo, rischia ora modifiche importanti durante l'iter in commissione Affari costituzionali del Senato. La maggioranza, insomma, è tutt'altro che compatta su questo tema, e le pressioni aumentano di giorno in giorno.

Come possono cambiare le regole: il ruolo degli emendamenti e del Parlamento

Anche se è già stato varato dal governo, il decreto cittadinanza non è ancora definitivo. Come ogni decreto legge, per diventare legge a tutti gli effetti, deve essere convertito dal Parlamento entro 60 giorni; durante questo passaggio, il testo può essere modificato attraverso emendamenti: proposte di cambiamento presentate dai parlamentari o dai gruppi politici. Questi emendamenti vengono discussi nelle commissioni parlamentari competenti, in questo caso, quella degli Affari costituzionali al Senato, e, se approvati, modificano il contenuto del decreto. Successivamente, il testo aggiornato va votato in aula.
È qui che entrano in gioco le dinamiche politiche: un emendamento passa solo se c'è una maggioranza che lo sostiene. Ecco perché i partiti della stessa coalizione di governo stanno trattando tra loro per trovare un punto di equilibrio.

Se entro 60 giorni il decreto non viene convertito, oppure se le divisioni sono tali da bloccare il processo, il decreto decade e tutto salta. È quindi una fase cruciale: da qui possono uscire aggiustamenti, compromessi o un cambiamento radicale della norma.

La protesta dal Sud America

Il provvedimento poi, non ha generato tensioni solo in Italia. In Sud America, in particolare in Brasile e Argentina, l'emozione è fortissima: milioni di persone si sentono legate all'Italia per via dei loro antenati, e considerano la cittadinanza come un diritto naturale. A San Paolo del Brasile, il giurista Walter Fanganiello Maierovitch ha organizzato una manifestazione pubblica per protestare contro la norma, con lo slogan "non saremo stranieri nella terra dei nostri antenati". La protesta si terrà in una piazza chiamata, significativamente, "piazza della città di Milano" nei prossimi giorni. Sui social, invece, a guidare la battaglia è Luis Lorenzato, ex deputato della Lega e lui stesso italo brasiliano, che, attraverso la pagina "Vote pela cidadania italiana", ha lanciato campagne che attaccano direttamente il ministro Tajani.

L'ultima iniziativa è un sondaggio provocatorio in cui si parla di boicottare i prodotti italiani, con l'obiettivo di "far emergere il rischio di una perdita economica silenziosa" per il Made in Italy. Una minaccia simbolica, ma che in un mondo globalizzato dove l'export conta più che mai, potrebbe far rumore anche nei palazzi della Farnesina.

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