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Cinque anni dagli accordi Italia-Libia: 82mila migranti respinti e portati nei campi di detenzione

Sono passati cinque anni dalla firma degli accordi tra Italia e Libia. Dal 2017 il nostro Paese ha dato 1 miliardo di euro a Tripoli per i respingimenti dei migranti in mare: in tutto sono state riportate nei centri di detenzione 82mila persone.
A cura di Giacomo Andreoli
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Cinque anni. Tanto è passato dalla firma del Memorandum d'Intesa Italia-Libia tra l'allora governo di Paolo Gentiloni, su spinta dell'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, e quello di Fayez al-Sarraj. E il bilancio dell'accordo, dal punto di vista umanitario, è tragico. Da quel 2 febbraio 2017 a oggi la Guardia costiera libica, secondo l'ong Oxfam, ha prelevato in mare 82mila persone, riportandole nei centri di detenzione, dove violenze e violazioni dei diritti umani sono state ampiamente documentate. Nel frattempo, il nostro Paese ha dato a Tripoli circa 1 miliardo di euro. Ora un gruppo di associazioni italiane, libiche, africane ed europee, chiede la revoca immediata degli accordi. In prima fila Emergency, che si appella anche all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Secondo Oxfam solo nel 2021 ci sono state 32.425 persone, di cui 1200 minori, intercettate in mare dai libici per essere portate in quelle che l'Onu considera vere e proprie carceri. O forse lager, visto che in un rapporto proprio delle Nazioni Unite si parla di violenze fisiche e psicologiche su chi scappa da fame, carestie e guerre, equiparabili a "crimini contro l'umanità".

In cinque anni sono morte più di 8mila persone nel Mediterraneo centrale, di cui 1500 (con 43 bambini) l'anno scorso. Chi viene riportato nei centri, però, non può essere considerato in salvo: nella Guardia costiera libica e alla guida di diversi centri di detenzione sono presenti esponenti di milizie autonome, non controllate dall'esecutivo di Tripoli e complici dei trafficanti di esseri umani.

Cosa prevede l'accordo-Italia Libia

L'intesa Italia-Libia del 2017 riguarda la «cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere». Il nostro Paese ha affidato alla Guardia costiera di Tripoli il pattugliamento del Mediterraneo centrale, in tutta l'area Sar (cioè di ricerca e soccorso) libica. Inoltre forniamo loro motovedette, un centro di coordinamento in mare e formazione. Nel Memorandum, poi si parla di "centri di accoglienza" per quelli che sono definiti "migranti illegali". L'Italia si è impegnata a finanziarli e "adeguarli", formando anche il personale che li gestisce. Nel concreto, però, le nostre forze militari non hanno alcun controllo dei centri, non potendo nemmeno verificare, come hanno fatto gli inviati dell'Onu, le violenze perpetrate dai carcerieri sui migranti.

L'accordo, poi, prevedeva anche appositi fondi per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. In cinque anni sono arrivati alla Libia circa 60 milioni di euro per gestire le carceri, con una parte di questa somma che è stata affidata direttamente a diverse ong. Secondo un report dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tuttavia, gli interventi appaiono di efficacia "dubbia", con una capacità delle organizzazioni non governative di incidere sulla condizione dei migranti "molto bassa". Nell'estate del 2020 il governo Conte II ha rinnovato l'intesa, aumentando i fondi annuali con alcune piccole modifiche, per favorire proprio le attività dell'Onu a favore dei migranti. Ma non è cambiato quasi nulla. In tutto l'esborso italiano a favore della Libia dal 2017 a oggi è stato di 962 milioni di euro.

Le violenze sui migranti in carcere

Per Oxfam "in Libia si assiste a una macroscopica e perdurante violazione dei diritti umani, realizzata da gruppi armati o trafficanti libici e internazionali, con la complicità di funzionari della direzione per la lotta all’immigrazione illegale del ministero dell’Interno libico". Inoltre, aggiunge l'0ng "episodi di gravissime violenze e di stupri sono stati recentemente documentati nella struttura carceraria di Mitiga, così come in altri centri di detenzione ufficiali gestiti a Zawiyah, Tripoli e dintorni".

"Il blocco delle partenze determinato dall’attuazione del Memorandum- spiega Emergency- si è rivelato un fattore che agevola la strutturazione di modelli di sfruttamento, riduzione in schiavitù e violenze, definiti come crimini contro l’umanità dalla Missione d'inchiesta indipendente delle Nazioni Unite". Secondo l'ong, quindi, "le misure previste per consentire l’uscita legale delle persone migranti dal Paese – evacuazioni, corridoi umanitari e resettlement – si sono dimostrate gravemente insufficienti a garantire l’accesso ai diritti e alla protezione in maniera generalizzata, sia per la limitatezza dei mezzi, sia per l’assenza di garanzie procedurali e il carattere concessorio proprio di questi sistemi".

Chi viene portato fuori dai lager non è comunque al sicuro. Per l'Unhcr le autorità libiche starebbero infatti abbandonando centinaia di migranti nel deserto senz'acqua. Per l'agenzia internazionale decine di persone verrebbero espulse dai centri di detenzione e obbligate a superare i confini terrestri del Paese, in zone aride e caldissime. L'operazione, secondo diverse testimonianze raccolte dall'Onu, sarebbe rapidissima. Si parla di espulsioni di persone con "una velocità impressionante". Lo stesso dipartimento, poi, indica che tra il 2019 e il 2020 sono state cacciate dalla Libia 7.500 persone. La maggior parte di loro è arrivata in Sudan o in Ciad.

Senza un intervento nel 2023 scatta il rinnovo automatico

Se il governo Draghi non interverrà il Memorandum si rinnoverà automaticamente il prossimo anno, sempre a febbraio, fino al 2026. Per annullarlo c'è invece tempo fino al prossimo 2 novembre 2022. Tra le organizzazioni che si battono per questo obiettivo c'è anche Amnesty International, che continua a sollecitare l'esecutivo anche con un'apposita petizione online. Lo stop della cooperazione con la Libia, però, non sembra essere nell'agenda dell'esecutivo. L'ultima visita di Draghi a Tripoli risale allo scorso aprile, quando l'ex numero uno della Bce parlò di "problemi umanitari", ma allo stesso tempo ringraziò i libici per i "salvataggi" realizzati. Poi a maggio chiese all'esecutivo libico di "rispettare i diritti umani dei migranti".

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