Per mesi in campagna elettorale, Giorgia Meloni ha ripetuto che non avrebbe toccato la 194, la legge sull’aborto. Si può dire che la promessa è stata mantenuta: la 194 non è stata nemmeno sfiorata, ma la destra ha molte altre strade per limitare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e l’impressione è che le stia tentando tutte, specialmente a livello locale. La strategia dovrebbe ormai essere nota: mozioni “per la vita”, cimiteri dei feti, leggi regionali che garantiscono l’ingresso delle associazioni antiabortiste ai consultori pubblici, fondi per non abortire. Tutte iniziative che non hanno nulla a che fare con la legge che ormai 45 anni fa depenalizzò l’aborto, ma che anzi la citano nei propri documenti. Eppure la strategia dell’opposizione è ancora quella di appellarsi al rispetto di questa legge, nonostante dovrebbe ormai essere chiaro che se Fratelli d’Italia ha messo “la piena applicazione della 194/78” nel primo punto del suo programma elettorale (dedicato al contrasto alla denatalità) forse è il caso di cominciare ad allargare lo sguardo.
È necessario infatti osservare ciò che accade a livello locale, in continuità con quanto portato avanti dalle amministrazioni di destra negli scorsi anni che hanno avuto campo libero per smantellare, a colpi di delibere, il servizio di interruzione di gravidanza. Un esempio è quanto accaduto in Piemonte, dove l’assessore di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone aveva provato a opporsi alle nuove linee guida sull’aborto farmacologico approvate dal ministero della Salute nel 2020. Di lì l’assessore ha avviato un progetto che ha gradualmente garantito l’ingresso di associazioni antiabortiste nella salute pubblica, prima stipulando delle convenzioni tra i consultori e associazioni come il Movimento per la vita. Poi, nel 2022 la regione ha stanziato 400mila euro per il “fondo vita nascente”, presentato come un contributo per le donne in difficoltà economica che decidono di non abortire e che passa però prima dalle casse delle associazioni convenzionate (che devono avere fra le finalità dello statuto la “tutela della vita nascente”). Il fondo avrebbe coperto circa 100 nuove nascite. Ad aprile del 2023, la regione ha raddoppiato il fondo, portandolo a 1 milione di euro, una notizia che è passata abbastanza sottotraccia nonostante le accese polemiche dello scorso anno.
Un’iniziativa simile è stata presentata in Puglia, dove l’assessora al Welfare Rosa Barone, del Movimento 5 Stelle, aveva firmato una delibera che prevedeva un sostegno economico di 5mila euro per il sostegno di maternità difficili. Dopo le polemiche della sinistra e delle associazioni, che sostenevano che si trattava di un contributo economico per dissuadere dall’aborto, la delibera è stata sospesa dal presidente Michele Emiliano. In difesa dell’iniziativa sono intervenuti così Matteo Salvini e il Forum delle associazioni familiari, una rete che riunisce diversi gruppi antiabortisti italiani.
Proprio la Lega ha proposto in due municipi di Roma una mozione che mira a proclamare la città “a favore della vita”. Mozioni simili sono state presentate in passato anche a Verona (dove è stata approvata nel 2018), Milano e in diverse città italiane. Il loro obiettivo è quello di impegnare le amministrazioni in attività antiabortiste, tra cui il finanziamento di associazioni anti-scelta e iniziative come il progetto Gemma, un contributo economico che viene promesso alle donne che non abortiscono. È ormai chiaro che la questione economica è stata individuata come l’unica causa che spinge le donne a interrompere una gravidanza. La documentata presenza di associazioni antiabortiste in consultori e ospedali pubblici è finalizzata a proporre questi finanziamenti come “alternativa all’aborto”, verso cui le donne vengono spinte in un momento di particolare vulnerabilità e incertezza. Alcune inchieste hanno dimostrato che queste associazioni spesso non dichiarino esplicitamente le loro finalità antiabortiste, ma si presentino come consulenti che le donne vengono invitate a frequentare dal personale sanitario stesso.
Tutto questo è concesso se non addirittura promosso dalla legge 194/78, che nella prima parte parla del “superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza”. Quando gli esponenti del governo e della maggioranza parlano di “piena applicazione della 194” si riferiscono proprio a questo.
Oltre agli strumenti del diritto, è anche il clima culturale che si è instaurato negli ultimi mesi a portare avanti un discorso di dissuasione all’aborto sempre più pervasivo, che nemmeno l’indignazione dell’opinione pubblica e l’attivismo delle associazioni femministe sembrano riuscire a scalfire. Nonostante la forte e trasversale opposizione che è arrivata a sollecitare l’attenzione dei media di tutto il mondo, l’amministrazione di Ragusa (una lista civica sostenuta da Fratelli d’Italia) ha voluto inaugurare un nuovo cimitero dei feti a Ragusa Ibla. Il “campo degli Angeli”, situato all’interno del cimitero comunale, era stato autorizzato nel 2019 ed era stato sollecitato dal Centro di aiuto alla vita locale, ma è stato realizzato soltanto ora, a ridosso della campagna elettorale. Negli ultimi due anni, anche a seguito del caso del cimitero Flaminio di Roma con i nomi delle donne che avevano abortito sulle croci, Fratelli d’Italia ha proposto di istituzionalizzare i cimiteri dei feti anche in Abruzzo e nelle Marche.
I cimiteri dei feti vanno ad aggiungersi a un martellante discorso sulla natalità, che anziché rivolgersi alla carenza di servizi sociali, colpevolizza le donne che ricorrono all’aborto e promuove una battaglia ideologica sui temi riproduttivi, che passa anche attraverso le parole: l’istituzione della “Giornata della vita nascente”, il “diritto a non abortire” (che esiste già, nessuno obbliga a ricorrervi), l’interruzione volontaria di gravidanza che diventa “cultura dello scarto” e “cultura della morte”. Questo ribaltamento semantico è parte di una battaglia ormai combattuta su tutti i fronti possibili, tranne quello dell’attacco frontale e diretto della 194/78, che anzi si rivela per Meloni e il suo governo una preziosa alleata. La premier non può permettersi di fare passi troppo azzardati, come le ha insegnato la campagna elettorale in cui si è trovata più volte nell’imbarazzante circostanza di dover parlare di aborto, ma nel confuso terreno delle amministrazioni locali tutto le è concesso. Tra la miriade di delibere, mozioni, ordini del giorno e leggi regionali, è più facile fare terra bruciata intorno all’aborto senza fare troppo rumore, ma anzi tirare fuori la carta della 194 di fronte a eventuali obiezioni. La faccia del governo ne esce intatta, ma le conseguenze intanto ricadono su chi vuole interrompere una gravidanza.