Ci avevano detto che era tutto a posto. Giorno dopo giorno, un provvedimento dopo l'altro, i rappresentanti di questo governo hanno guardato dritto nella telecamera e ci hanno raccontato una menzogna. Ci avevano detto che c'è la ripresa, che si intravede la crescita, che la previsioni del Pil sono positive. Ci hanno raccontato – con tanto di economisti, tecnici, e Fondo Monetario Internazionale al fianco – che la riforma del lavoro, il Jobs Act, avrebbe portato più posti di lavoro per tutti.
Ci avevano detto che togliere l'articolo 18 – che obbligava le aziende a reintegrare i dipendenti licenziati senza la "giusta causa" – avrebbe portato gli investimenti dall'estero, che liberalizzare i contratti a tempo allungandoli fino a tre anni di durata avrebbe convinto le aziende ad assumere di più, ci hanno fatto credere che coi soldi dell'Unione Europea ci sarebbero stati stage e tirocini pagati per tutti i giovani senza un'occupazione.
Ci hanno detto tutto questo. E ci hanno mentito. Perché la verità – amarissima – è che per noi giovani in Italia non c'è futuro. E se non bastasse la vita di tutti i giorni ad insegnarcelo, se non bastasse vedere quello che succede ai nostri figli, coetanei, amici e nipoti, ecco l'Istat a metterlo nero su bianco nei dati provvisori sull'andamento del mercato del lavoro.
La disoccupazione cresce al 12.7%, con 22mila occupati in meno rispetto a maggio, e 40mila in meno rispetto a giugno dell'anno scorso. Ma è un calo che riguarda quasi esclusivamente i giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile raggiunge il picco del 44.2%, quasi due punti percentuali in più rispetto a maggio. È il dato più alto mai registrato dal 1977, cioè dall'inizio delle serie storiche dell'Istat.
Oggi, insomma, dopo mesi di menzogne ci svegliamo in un paese che ha più giovani disoccupati che mai. Ed è un dato che conoscevamo bene tutti, lo avevamo semplicemente spostato sotto il tappeto. Uno dei fattori determinanti di questo aumento della disoccupazione giovanile, infatti, come osserva l'Istat, è il calo della popolazione inattiva. Significa che questo mese sono aumentate le persone che partecipano al mercato del lavoro.
Già, perché il dramma della disoccupazione non si ferma solo al tasso degli occupati. C'è una realtà infinita di giovani che non ha un lavoro ma non rientra nel conteggio dei disoccupati. Sono gli studenti che oggi preferiscono continuare a stare sui libri all'idea di doversi cercare un lavoro che non esiste. Sono i "Neet", quei giovani che non studiano, non lavorano e non cercano neanche lavoro. Sono tutti quei ragazzi che lavorano con contratti a tempo, e sono il 70% dei nuovi avviamenti lavorativi, e nella maggior parte dei casi durano meno di sei mesi.
Questi sono i dati reali, che si scontrano con le bugie che ci hanno raccontato. In un anno e mezzo di governo solo questo sono stati buoni a fare: raccontarci storie. Perché, in realtà, che cosa ha fatto il governo di Matteo Renzi per mettere freno al dramma dei giovani, fra precariato, disoccupazione e impossibilità a crearsi un futuro, ottenere un mutuo, comprare una casa, fare dei figli? Cosa ha fatto, insomma, Matteo Renzi, per mettere in condizione una generazione di italiani di potere vivere una vita normale, degna di questo nome?
Guardiamo al Jobs Act. E al suo pezzo forte: il nuovo contratto indeterminato – cioè l'assunzione vera e propria, non il solito contratto a tempo o le collaborazioni – che doveva far aumentare i posti di lavoro per i giovani, cancellando una volta per tutte l'odiato (dalle aziende) articolo 18. Ecco, questo contratto si è rivelato una barzelletta. Nel mese di maggio i dati del ministero del lavoro dicono questo: le nuove attivazioni, al netto delle cessazioni e delle trasformazioni di contratti a tempo in indeterminati è stato di 271 nuovi assunti. 271 contratti, una barzelletta.
E i contratti a tempo – una vergogna tutta italiana se pensiamo che all'estero dire "temp" è un vero e proprio insulto – che dovevano diminuire, un altro scherzo. Sono ancora circa il 70% dei nuovi avviamenti lavorativi. A diminuire, a scapito dei nuovi indeterminati, sono i contratti di apprendistato, quelli che servivano a formare il giovane nell'attesa dell'assunzione. 7 giovani su 10 che vanno a lavorare lo fanno, ancora, con un contratto che dura al massimo sei mesi o un anno (quando va bene). Con buona pace della casa, del mutuo e di chi va ormai verso i 30 e vorrebbe avere un figlio.
Ma è tutta la strategia di governo, in questo anno e mezzo, ad essere stata assente sui giovani. Il 1 maggio 2014, ad esempio, partiva il programma europeo "Garanzia Giovani", con un miliardo e mezzo di fondi per un periodo di 4 anni. Un anno dopo, a leggere i dati del monitoraggio del Ministero del Lavoro, non ci è dato sapere quanti giovani abbiano finalmente trovato un’occupazione. In compenso, le aziende si sono arricchite coi soldi degli stage. Mentre la European Court of Auditors (la Corte dei Conti europea), lo scorso marzo, dopo aver effettuato un monitoraggio dei programmi nei vari paesi affermava: “Dobbiamo ancora vedere un singolo giovane che abbia trovato lavoro col programma”.
In tutto questo, poi, a pagare il prezzo sono soprattutto le donne, e in particolare al sud. Se prendiamo in esame le donne giovani fino ai 24 anni, infatti, il tasso di occupazione è del 12.8%, e solo l’8% al sud. Insomma, un giovane su due in Italia oggi non lavora. Ma, dall'altro lato, non si può affermare che un giovane su due lavori: perché avrà un contratto a tempo di 6 mesi in 7 casi su 10, oppure rientra in chi studia, nei neet, in chi ha smesso di cercare lavoro. Se si è una donna giovane, invece, la possibilità di ottenere un lavoro non esiste neanche. E se sei nato al sud, o emigri o sei finito.
Eppure ci avevano detto che era tutto a posto, che c'era la ripresa, che sta per arrivare la crescita e quella, si sa, porta il lavoro per i più giovani. Ci avevano mentito. Ogni giorno, hanno guardato nella telecamera e ci hanno raccontato una menzogna. La verità, invece, è che siamo a pochi mesi di distanza dall'essere come la Grecia per quanto riguarda i giovani. La verità è che servirebbe ora un piano di emergenza per portare i giovani al lavoro. Con risorse vere, non il solito gioco delle scatole cinesi in cui si spostano i fondi un giorno sì e l'altro no, e le cifre rimangono solo annunci. E con strutture e professionalità capaci di risolvere l'emergenza, non serve regalare soldi alle aziende e alle agenzie del lavoro a fondo perduto.
Bisogna trattare la disoccupazione giovanile per quello che è: una emergenza. Come si fa coi terremoti, le inondazioni e gli uragani. Perché anche qui ci sono delle vite umane in gioco. A cui non si può più continuare a mentire.