L'indiscrezione è del Foglio: il futuro ministro dello Sviluppo Economico, che andrà a sostituire la dimissionaria Federica Guidi, potrebbe essere Chicco Testa. Chi è Chicco Testa? Classe 1952, ex politico italiano, eletto in Parlamento per la prima volta nel lontano 1987, in quota P.C.I. Presidente di Assoelettrica, ex presidente di Legambiente, nel suo curriculum figurano numerosi incarichi manageriali in grosse società pubbliche e private, tra cui la presidenza del Consiglio di amministrazione di Enel e Acea.
Di Testa si ricorda inoltre la giravolta sul nucleare: nel 1987, dopo la strage di Chernobil, fu tra i sostenitori del referendum per la chiusura delle centrali nucleari italiane. Negli anni, da convinto ambientalista diviene, nel 2011, promotore del referendum per il ritorno al nucleare e presidente del Forum Nucleare italiano. Insomma, a parte questo dettaglio, è un professionista di lungo corso Chicco Testa, nulla da eccepire sulle sue competenze.
Molto da recriminare, invece, nei confronti del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che, in barba alle promesse fatte durante gli anni della scalata al vertice del Partito Democratico, ancora una volta sceglie di puntare su una personalità che certo non può definirsi distante da quello che il Renzi ante-presidenza avrebbe definito un uomo dell'Apparato politico-burocratico. Chicco Testa non è certo un nome nuove, una nomina da "rottamazione". Come può rappresentare il nuovo una persona che ricopre ruoli politici e manageriali nel settore pubblico dal 1987? Io sono nata nel 1987, tra pochi mesi compio 29 anni. Ventinove anni sono quasi tre decenni e tre decenni non sono affatto pochi. Anzi, sono decisamente troppi.
Arriva sempre il momento in cui le belle parole e le belle promesse si scontrano con la realtà dei fatti, e quelle di Matteo Renzi sembrano sciogliersi come neve al sole una dietro l'altra. La rottamazione, il puntare sui giovani e sulle facce nuove, un refrain che ha insistentemente accompagnato gli ultimi 6 anni della carriera politica del presidente del Consiglio, sin dal lontano 2010, quando andò in scena la prima Leopolda, organizzata nel novembre di quell'anno con l'allora alleato e oggi acerrimo nemico politico Giuseppe Civati. Il fine: allontanare i membri di una classe politica che "ha sprecato la propria opportunità di cambiare le cose". "Sic et simpliciter, concetto abbastanza chiaro e lineare per essere equivocato o male interpretato.
Insomma, le premesse c'erano tutte: Renzi vinse le primarie e agguantò la segreteria del Partito Democratico sostenendo di essere il nuovo, il nuovo politico che avrebbe rivoluzionato l'Italia, la sua classe politica e dirigente, quello che avrebbe puntato sulle competenze dei giovani, sulle facce nuove, sbaraccato il Belpaese dai politici e politicanti che l'avevano reso il regno dell'immobilismo. E invece, sei anni dopo, lo ritroviamo presidente del Consiglio, con un governo costituito seguendo alla lettera il famigerato "Manuale Cencelli", da perfetto democristiano. E' una questione di mancata coerenza, soprattutto. Nulla di nuovo sotto il sole, ma a chi per anni ha fatto della rottamazione dell'Apparato il suo principale cavallo di battaglia e si è presentato ai cittadini come il simbolo del "nuovo corso", è giusto far notare quanto le scelte compiute successivamente siano in totale contrasto con le promesse fatte solo pochi anni fa.