Chi inizia a lavorare oggi in Italia andrà in pensione a 71 anni: la simulazione dell’Ocse
I giovani che entrano nel mondo del lavoro in questo periodo, in Italia, hanno davanti a sé una lunga vita lavorativa: l'età pensionabile normale diventerà di 71 anni in futuro, secondo il calcoli dell'Ocse. È la seconda età più alta tra i Paesi considerati, fa ‘peggio' solo la Danimarca. Il dato è emerso dal nuovo rapporto "Pensions at a glance", che l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico pubblica ogni due anni. Il motivo è semplice: in Italia, come in altri Paesi, l'età pensionabile è legata all'aspettativa di vita, cosa che non avviene in tutti gli Stati.
Oggi, sempre in Italia, l'età legale per andare in pensione è fissata 67 anni (con la pensione di vecchiaia nella modalità prevista dalla riforma Fornero), ma grazie a vari meccanismi di anticipo pensionistico l'età normale a cui si lascia il lavoro è 65 anni. Un dato in linea con la media Ocse, che arriva a 64,1 anni.
Con il tempo però le cose cambieranno. Infatti, la legge italiana prevede che l'età pensionabile aumenti con l'aspettativa di vita. Negli ultimi anni questo aumento è stato bloccato, e lo resterà fino al 2026. Fino ad allora quindi resterà la soglia di 67 anni. Poi, però, con l'invecchiare della popolazione e l'aumentare dell'aspettativa di vita è quasi inevitabile che anche questo limite verrà alzato.
La stima è che nel prossimo quarantennio (fino agli anni '60 del Duemila) l'età pensionabile aumenterà in 23 Paesi Ocse su 38. Si tratta di una previsione fatta a legislazione corrente, ovviamente, dato che è impossibile prevedere le riforme pensionistiche che avverranno nei prossimi decenni. Se nulla dovesse cambiare a livello normativo, comunque, sono cinque i Paesi in cui si supererà la soglia dei 70 anni al lavoro: Danimarca, Estonia, Paesi Bassi, Svezia e Italia.
Tra quarant'anni l'età media per la pensione nell'Ocse sarà salita a 66,3 anni (due anni in più di oggi) per chi ha iniziato a lavorare nel 2022. In alcuni Stati, non ci dovrebbero essere cambiamenti: in Colombia, Lussemburgo e Slovenia, ad esempio, stando alle leggi attuali il tetto d'età resterà a 62 anni. Invece si andrà a 70 anni nei Paesi Bassi e in Svezia, a 71 anni in Italia e in Estonia, e ben a 74 anni in Danimarca.
Collegare l'età della pensione all'aspettativa di vita non è obbligatorio. In una situazione come quella italiana, dove tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi sono in un sistema contributivo (cioè la pensione si calcola sui contributi versati), non è neanche "necessario per migliorare le finanze pensionistiche", si legge nel rapporto Ocse. Il motivo per mantenere questo collegamento può essere "impedire che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse" e favorire il tasso d'occupazione nelle fasce più anziane della popolazione.
Per quanto riguarda l'importo della pensione, perlomeno, in Italia la situazione dovrebbe essere migliore che altrove. L'Ocse ha calcolato che – sempre a parità di condizioni attuali – chi andrà in pensione a 71 anni avrà un assegno previdenziale pari all'83% dell'ultimo stipendio ricevuto prima di lasciare il lavoro. Un dato positivo, considerando che la media Ocse sarà al 61% circa.