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Chi è Stefano Rodotà (e perché il Pd potrebbe, anzi dovrebbe votarlo)

Ecco chi è Stefano Rodotà. Giurista, docente universitario e politico di lungo corso, si è sempre battuto per i beni comuni. E qualche mese fa bacchettò il Partito Democratico, colpevole di aver approvato la norma sul Pareggio di Bilancio in Costituzione.
A cura di Davide Falcioni
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rodotà

Nella rosa dei "papabili" per la Presidenza della Repubblica c'è anche Stefano Rodotà: nome emerso dalla rosa delle Quirinarie del Movimento 5 Stelle, in queste ore sta alimentando una piccola mobilitazione in rete. Se le candidature di Gabanelli e Strada sono state ritirate dai diretti interessati, quello del giurista è un nome credibile apprezzato sia dal Movimento 5 Stelle che dall'ala sinistra del Partito Democratico.

Ma chi è Rodotà? Giurista, docente universitario e politico, ha alle spalle una lunga attività parlamentare nella sinistra ed è stato dal 1997 al 2005 garante per la privacy: negli ultimi anni si è sempre impegnato a favore dei beni comuni, anche partecipando attivamente al Referendum del 2011 per l'acqua pubblica. Il Partito Democratico sembrava aver avanzato le candidature di D'Alema, Amato e Marini, ma molti simpatizzanti ed elettori del centrosinistra stanno in queste ore tentando di sovvertire i fatti, puntando a influenzare l'opinione pubblica, nella speranza che Bersani se ne accorga e si adegui. A sostegno di Rodotà è nato un blog che invita a bombardare di email i parlamentari, mentre su facebook sono sorte diverse pagine, una delle quali invita a partecipare a un sit in a favore del calabrese domani mattina a Montecitorio.

Ma perché il nome di Rodotà sembra essere inviso ai dirigenti del Pd? Una parziale spiegazione potrebbe risiedere in un articolo pubblicato su La Repubblica il 20 giugno scorso, a firma del giurista, che contestava la decisione del Parlamento di inserire il Pareggio di Bilancio in Costituzione, una norma che di fatto "promuoveva" un'ispirazione ideologica, quella neoliberista, secondo cui la ricetta per la crescita consiste di 3 elementi: libertà dei mercati, politiche monetarie unicamente rivolte al controllo dell’inflazione e divieto per lo Stato di qualsivoglia intervento in deficit spending sull’economia. Il Partito Democratico votò favorevolmente.

Rodotà scrisse: "Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona ‘manutenzione' della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia".

Poi Rodotà ha citato l'economista Keynes: "Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes. L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama". L'articolo del giurista, pur senza mai citare il Pd, di fatto criticò aspramente la decisione dei democratici di approvare quella norma.

Ora, però, il partito di Bersani si potrebbe smentire le voci di inciuci con la destra, più volte levatesi in questi giorni, e dimostrare di avere più a cuore i desideri del suo elettorato che le manovre di palazzo, magari in accordo con Berlusconi. Il Pd colglierà questa storica occasione?

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