«Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Se questo è un ministro del Lavoro, abbiamo sbagliato tutto. Giuliano Poletti passerà alla storia per i voucher, strumento di sfruttamento del precariato e per questa frase vergognosa e infelice che fa il paio con i "choosy" di Elsa Fornero e con i "bamboccioni" di Padoa-Schioppa. Poletti si esprime così parlando dei 100mila giovani che se ne sono andati dall'Italia per trovar lavoro adatto alle loro aspirazioni di carriera, stipendio e meritocrazia. Insulta così i suoi concittadini che hanno fatto una scelta – spesso dolorosissima – perché lasciare famiglia, affetti e casa non è facile.
Ci dica, signor Poletti, diplomato perito agrario e prestato al Dicastero del lavoro che non c'è nel governo Renzi prima e ora nel rimpasto guidato da Gentiloni, chi è che non dev'essere più fra i piedi? Forse i ricercatori che non trovano sbocchi tra i baroni universitari? Forse gli innovatori che tentano la start-up in garage e lì restano, vessati da tasse e burocrazia? Forse ingegneri e architetti che in Italia trovano lavoro sottopagato e anonimo all'ombra dei grandi studi professionali? Ci dica, Poletti a cosa si riferiva esattamente? Urlerà forse che è stato frainteso, che è stato male interpretato (cosa che in effetti ha fatto, con un comunicato delle ore 18.15, sostenendo che non si è «mai sognato di pensare che è un bene per l'Italia il fatto che dei giovani se ne vadano all’estero» ndr.). In realtà questa sortita è il segno di un pregiudizio ben saldo nella testa di qualcuno: quello secondo cui chi va via è un coglione. È uno di meno. È un non furbo. Che vergogna, signor Poletti.
articolo aggiornato il 19 dicembre alle ore 18.20.