In effetti non era poi così scontato che Bersani arrivasse a dover minacciare una class action contro giornali e media, colpevoli di un vero gioco al massacro che "offende l'onorabilità di un partito e delle sue migliaia di sostenitori". Certo è che lo sfogo del segretario del Partito Democratico davanti ai microfoni, assieme alle "comunicazioni dirette" con alcune testate (compresa una risentita lettera al Fattoquotidiano con tanto di risposta ad un duro editoriale di Marco Travaglio) , rappresenta la manifestazione evidente e plateale di un disagio vero e profondo. E il riemergere (frequente, verrebbe da dire) della questione morale è vissuto come un vero e proprio dramma all'interno di un partito che pure si è dotato di codici di autoregolamentazione e organismi di controllo.
Intendiamoci, Bersani compie un'operazione legittima in qualità di segretario del primo partito del centrosinistra, provando a tutelarne l'onorabilità e soprattutto ad evitare paragoni generalizzanti e sommari con gli altri partiti di "una casta sprecona ed arraffona". E sia chiaro che la necessità di fare chiarezza ed evitare un qualunquismo "semplicista e banalizzante" è, anche nell'ottica di chi scrive, cosa giusta e sacrosanta. Però, al fondo della questione resta una considerazione ineludibile e al momento difficilmente contestabile: c'è una questione morale all'interno del Partito Democratico che rischia inevitabilmente di far passare in secondo piano anche importanti istanze di cambiamento e di proposta avanzate negli ultimi mesi. Una questione le cui radici affondano inesorabilmente nell'appiattimento sul piano della gestione e dell'amministrazione che è stato caratteristica principale dei partiti italiani negli ultimi anni. Partiti che sono (di colpo?) diventati centri di gestione e di smistamento, che hanno sacrificato spinte ideali e programmatiche in nome di un pragmatismo che ha inesorabilmente assunto i connotati della costruzione di gruppi clientelari, di veri e propri cartelli in grado di tutelare interessi, gestire nomine, canalizzare finanziamenti.
QUALE PARTITO? – Dei veri e propri centri di potere territoriali, collegati a livelli successivi e determinanti per la scelta dei rappresentanti istituzionali, per la gestione e la creazione del consenso, per la mobilitazione di uomini e risorse. Ma al tempo stesso dei nuclei difficilmente controllabili e tendenzialmente composti da "personaggi" sempre più svincolati da logiche di appartenenza, da "quella comunanza di spirito e di intenti" che reggeva il nucleo storico ad esempio del PCI. E quanto queste "forze" possano influenzare le scelte politiche, non solo in tema di rappresentanza negli organismi amministrativi (o all'interno delle strutture del partito stesso), è cosa acclarata ed evidente, addirittura pacifica per chi ha avuto "contatti" con l'estabilishment del partito.
E come garantire trasparenza, legalità e correttezza in questa galassia di legami ed incarichi, nomine ed interessi, programmi e progetti? Del resto lo stesso Bersani non è disposto a mettere la mano sul fuoco su "eventuali episodi" che coinvolgano esponenti democratici, pur tuttavia reclamando una "diversità culturale", una alterità rispetto alla deriva della politica italiana che costituirebbe la vera anima democratica. Nell'ascoltare il segretario del PD alla mente di chi scrive, più che gli accorati appelli e le serie riflessioni di Enrico Berlinguer (ecco, non ci è riuscito di fare un pezzo sulla questione morale senza nominarlo…), sono tornate le parole dell'indimenticato Mario Melloni, alias Fortebraccio, il quale rimproverava i parlamentari del PCI di "non dare mai una soddisfazione a Lorsignori, magari uno scandalo, una tangente, un furtarello…invece, nulla!".
DIVERSI DA CHI? – Una diversità che andava oltre la "prospettiva ideale ed etica", ma che era sostanziale e, con una buona dose di certezza, finanche verificabile nella prassi politica. Una alterità culturale prima di tutto, ma anche un diverso modo di intendere l'impegno politico, diventati nel corso degli anni un vero e proprio segno di riconoscimento per una intera parte politica e solo in parte scalfiti dal "disvelamento revisionista" del consociativismo e di una certa propensione alla mediazione ed al compromesso dei vertici del Partito Comunista. Ed è in tal senso che Bersani gioca la sua partita più importante: mostrare cioè ai compagni, agli amici e ai militanti che è ancora possibile "pensare di essere diversi", che si può reagire al qualunquismo attraverso la pratica e l'esempio, insomma, ripensare il modello alternativo oltre Consorte, Tedesco e i tanti inquisiti ancora presenti in Parlamento tra i banchi democratici. Il tutto con un occhio alle inchieste sulle cooperative de un altro alla complessa situazione con cui dovrà fare i conti a settembre, al rientro da una pausa estiva mai così provvidenziale.
Perchè se è pur vero che la macchina del fango è sempre pronta a mettersi in moto, rispondendo ad interessi o venendo semplicemente incontro alla volontà "disfattista e omogeneizzante dei cittadini esasperati dalla Casta e dai suoi derivati", allo stesso modo è evidente che più che querele o class action sono gli atti concreti, i passi decisi a dare credibilità ad un partito, certo dalla schiena dritta, ma ancora troppo legato alle forme tradizionali della politica, incapace di rinnovare radicalmente i propri organismi di rappresentanza, vittima di troppe contraddizioni e distinguo e troppo spesso colpevole di aver dato "soddisfazioni a Lorsignori". E questa, permettetelo, è forse la colpa più grave…