Che fine ha fatto il referendum sullo stop alle auto inquinanti dal 2035 promesso da Salvini?
Che fine ha fatto il referendum che Matteo Salvini aveva promesso durante la campagna elettorale per ultime politiche, prima di diventare vicepremier e ministro dei Trasporti? L'accordo sullo stop alle auto inquinanti dal 2035 dopo l'intesa raggiunta a fine ottobre da Eurocamera, Consiglio Ue e Commissione, prevede delle tappe intermedie: riduzione delle emissioni di CO2 del 55% per le auto nuove e del 50% per i nuovi furgoni entro il 2030 rispetto ai livelli del 2021, e azzerare le emissioni sia per le auto nuove che per i furgoni entro il 2035. Significa che dal 2035 non saranno più in vendita nell'Ue auto nuove a benzina o Diesel.
Il leader della Lega ieri è tornato sulla questione, dicendo che "Eliminare le macchine a combustione tradizionale entro 12 anni, distruggendo lavoro e industrie europee e italiane per regalarle alla Cina, è un suicidio economico e sociale", ha scritto su su Twitter. "Non vorrei che, dopo il Qatargate, emerge a Bruxelles un Chinagate".
Salvini però a fine settembre, a quattro giorni dalle elezioni, aveva promesso di indire un referendum popolare sullo stop alla produzione di veicoli a benzina e diesel dal 2035. Dopo gli annunci il ministro sembra essersi scontrato con la realtà: di una consultazione popolare non ha più parlato, probabilmente perché si è reso conto che quella proposta non poggiava su basi giuridiche solide e di fatto era irrealizzabile. E così di quel referendum si sono perse le tracce, senza che il ministro desse alcuna spiegazione.
"È giusto fermare la produzione delle vetture non elettriche in Europa e in Italia dal 2035? Credo che a decidere debbano essere gli italiani, e non qualche eurodeputato del Pd. Serve un referendum, altrimenti consegnamo le nostre fabbriche ai cinesi", diceva lo scorso 21 settembre.
Ma come abbiamo spiegato in quest'articolo, quella promessa era inattuabile già in partenza: non è possibile proporre un referendum per cancellare un regolamento europeo. Basta leggere l'articolo 75 della Costituzione sul referendum abrogativo:
È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Quindi, secondo l'articolo 75 della Costituzione, si può indire un referendum abrogativo solo per leggi approvate dal Parlamento secondo il procedimento ordinario o per "atti aventi valore di legge", cioè i decreti legge e i decreti legislativi (adottati dal Governo su legge delega del Parlamento).
In casi come questo sarebbe possibile solo un referendum consultivo, ma si tratterebbe di un referendum non vincolante, senza alcuna ricaduta legislativa. Lo spiega bene in un'intervista a Fanpage.it il professor Salvatore Curreri, professore di Diritto costituzionale e pubblico comparato presso l'Università di Enna "Kore": "Un simile referendum sarebbe senz'altro inammissibile. L'articolo 117 comma 1 della Costituzione impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, il che vale sia per il Parlamento che per il referendum abrogativo".
"La Corte Costituzionale – ha aggiunto Curreri – ha dichiarato inammissibili i referendum aventi per oggetto leggi a contenuto ‘comunitariamente' vincolato, come quelli sull'immigrazione (31/2000) e sulla liberalizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato (41/2000), perché la violazione di queste leggi avrebbe violato gli obblighi comunitari. In quel caso si trattava di direttive, non di regolamenti europei, che una volta approvati da Bruxelles, sono immediatamente precettivi".
Salvini insomma aveva promesso di dare la parola agli italiani, ma questo non è possibile, perché un regolamento europeo, una volta approvato, viene applicato automaticamente in tutti gli stati membri dell’Ue, senza che questi debbano ratificarlo con una legge nazionale, come nel caso delle direttive.