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Che fine ha fatto il referendum “contro la casta”

Un milione e trecentomila firme raccolte per “tagliare gli stipendi d’oro dei parlamentari” (la diaria, in realtà), poi il caos “tecnico”, infine la consegna delle firme in Cassazione. Con la regia di Unione Popolare, formazione centrista (e nel solco del Ppe) rimasta fuori dalle politiche per non aver raccolto le firme necessarie…
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Ve lo ricordate il referendum contro gli sprechi della casta? Stiano ovviamente parlando della mobilitazione promossa da Unione Popolare che, tra alterne vicende, aveva permesso di raccogliere un milione e 300mila firme a sostegno di un quesito referendario per "l'abolizione dei privilegi dei politici". Ne avevamo ampiamente parlato, mostrando come si trattasse di un'operazione confusa e dall'esito incerto (per usare un eufemismo). Più realisticamente, si trattava dell'abolizione della "diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma", mentre non veniva in alcun modo toccata l'indennità che spetta ad ogni parlamentare. Un compromesso necessario per prevenire il rischio di illegittimità costituzionale, come precisato dagli stessi promotori: "Va infatti rammentato che l' art.96 della costituzione recita : "i membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge". Ne deriva che l'abrogazione della norma che attua il dettato Costituzionale ( appunto L'art. uno della legge 1265) lascerebbe un vuoto normativo in una materia coperta da disciplina costituzionale”.

Come ricorderete, il percorso del referendum fu a dir poco accidentato, con una serie di errori, fraintendimenti, ritardi (conditi dagli immancabili appelli contro i "media oscurantisti" che non parlavano del referendum che faceva tremare la casta). L'ostacolo maggiore risaliva nella possibilità o meno di consegnare le firme nell’anno anteriore alla scadenza delle Camere, nonché nella validità di soli 90 giorni delle firme raccolte (in pratica non è possibile consegnare firme raccolte oltre 90 giorni prima). Su quest'ultimo punto in realtà i pareri divergono e, secondo i costituzionalisti sentiti dai promotori, i "90 giorni" non comprendono l'intervallo di tempo in cui tecnicamente non è possibile presentare le firme. Tesi peraltro smentita da un costituzionalista del calibro di Valerio Onida, che ha sempre sostenuto la "validità nulla" delle segnature raccolte.

Unione Popolare ha deciso però di continuare su questa strada e il 7 gennaio del 2013 (prima data utile) ha depositato in Cassazione oltre un milione e trecentomila firme. Ora si attende l'esame della Corte, che avverrà entro e non oltre l'autunno del 2013, e successivamente il passaggio alla Corte Costituzionale che dovrà esprimersi nel merito dei quesiti, verosimilmente nel gennaio del 2014. Solo successivamente potrebbe essere indetto il referendum, in primavera o autunno dello stesso anno, con buona probabilità. Un percorso dunque lungo e non necessariamente produttivo, dal momento che nel frattempo il Parlamento potrebbe anche legiferare in materia e far decadere il quesito.

Insomma, c'è da attendere e molto. Con la possibilità che tutto si risolva in un nulla di fatto. E con tutto il peso delle considerazioni "nel merito" della questione (che abbiamo affrontato qui). Nel frattempo però, Unione Popolare e la sua leader Maria Di Prato proseguono sulla strada dell'aggregazione politica, con un ampliamento della struttura territoriale e la presenza più o meno costante sui social network. Non solo, perché Up, che non nasce con il referendum "anticasta", ha tentato anche la strada della partecipazione alle elezioni politiche del 2013. Con un programma articolato in 6 punti, un capo politico (la stessa Maria Di Prato) e una collocazione "nel solco del Partito Popolare Europeo".

Insomma, come del resto si evince da un programma moderato e ragionevole, la furiosa polemica anticasta e la "rivoluzione gentile" hanno matrice centrista. Tutto legittimo, sia chiaro. Ma difficilmente comprensibile per chi ha firmato con l'idea di "mandare tutti a casa" e abbattere "gli insostenibili privilegi della casta". Tant'è vero che, per quanto paradossale possa sembrare, Unione Popolare non è riuscita a raccogliere le firme per prendere parte alle elezioni politiche, malgrado le "facilitazioni" concesse alle nuove forze politiche (in regime di elezioni anticipate). Ma, se è sfumata la partecipazione alle politiche e se l'attività nei gruppi di sostegno fb è ormai ridotta ai minimi termini (con una partecipazione drasticamente calata), non si ferma l'attività politica della formazione, che ha già annunciato le candidature in alcuni centri interessati dalle amministrative di maggio. Insomma, in attesa della Rivoluzione Gentile, Unione Popolare prova a "resistere ed esistere". Perché, in fondo, gennaio 2014 non è così lontano.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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