"Dopo stasera è difficile credere nelle istituzioni e nelle leggi dello Stato. Savona aveva commesso il reato d'opinione di dire che una Europa così concepita sta massacrando i cittadini e le imprese. Ci respingono Conte che aveva già la maggioranza assoluta e dopo un'ora chiamano Cottarelli, avevano già pronta la cosa. Parlamentarizzeremo la crisi e attiveremo l'articolo 90 della Costituzione, la Lega non può tirarsi indietro di fronte a questa azione di responsabilità nei confronti del Presidente della Repubblica".
Con queste parole Luigi Di Maio ha annunciato la volontà di "mettere in stato d'accusa" il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, appoggiato anche da Giorgia Meloni, mentre Matteo Salvini ha preferito rimandare la decisione a domani, dicendosi "troppo arrabbiato" al momento. I voti della Lega sarebbero decisivi, dal momento che potrebbero consentire al fronte "anti-Mattarella" di avere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.
In queste ore si sta utilizzando molto il termine impeachment, che però non è un termine che compare nella nostra Costituzione, ed è essenzialmente un lemma poco chiaro. "Parlamentarizzare la crisi", come sostiene Di Maio, però rende possibile capire che ci si riferisce a una pratica specifica, come chiarito da alcuni giuristi: "L'impeachment sostanzia, insomma, la matrice storica di quella funzione giudiziaria del Parlamento, che sebbene scarsamente attuale sul piano pratico, è tuttora riproposta e disciplinata dalla gran parte degli ordinamenti vigenti".
E dunque il riferimento di Di Maio non può che essere all'articolo 90 della Costituzione che individua le "Responsabilità del Presidente della Repubblica":
"Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri".
Il procedimento è comunque molto complesso, perché se è vero che il Parlamento può mettere in stato d'accusa Mattarella (con un voto a maggioranza assoluta), la decisione finale spetta alla Corte Costituzionale, che si riunisce in composizione integrata, ai sensi degli articoli 134 e soprattutto articolo 135, settimo comma. Comma che recita: "Nei giudizi d'accusa contro il Presidente della Repubblica intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari".
Ricapitolando: ove mai il Parlamento dovesse rilevare fondata la richiesta e mettere in stato d'accusa il Capo dello Stato, la decisione spetterebbe ai giudici della Consulta, coadiuvati da sedici cittadini estratti a sorte da un apposito elenco.
Vale la pena di sottolineare un punto essenziale: Mattarella non è perseguibile per ciò che fa nell'esercizio delle sue funzioni, dunque non è chiarissimo come Di Maio possa motivare l'esistenza di un attentato alla Costituzione o di alto tradimento. Insomma, al netto del gravissimo strappo che ciò rappresenterebbe, non è escluso che il leader 5 Stelle torni sul suo proposito nelle prossime ore, scindendo l'aspetto del rispetto della Costituzione, dalla doverosa e legittima critica delle scelte di Mattarella.