Qualche ora fa Giorgia Meloni a Perugia ha ribadito quello che è nel programma elettorale della destra: abolire il reddito di cittadinanza.
"Sarebbe più facile per me", ha detto alla folla "se io venissi qui e dicessi che vi do 780 euro a tutti, invece no".
A parte che l'importo medio per percettore del reddito di cittadinanza è 581 euro – la differenza di duecento euro non è poca cosa – Giorgia Meloni finge di ignorare che il reddito di cittadinanza non è per tutti, ma per chi si trova senza lavoro e in particolari condizioni di vulnerabilità.
Giorgia Meloni finge di ignorare che i dati e le dichiarazioni dell'Istat sono stati chiarissimi: "Il reddito di cittadinanza ha salvato un milione di persone dalla povertà assoluta".
Nella stessa giornata ma qualche ora dopo, Silvio Berlusconi ha fatto quello che fa Silvio Berlusconi: negare se stesso, affermando che il reddito di cittadinanza "non deve essere abolito". Dimenticando così che Forza Italia (cioè lui) ha firmato da giorni il programma della coalizione di centrodestra e il programma è chiaro: abolizione. Esattamente come ha confermato a Perugia la leader Giorgia Meloni.
Quello che per me è insopportabile è una campagna elettorale giocata sulla pelle dei più deboli: attraverso la demonizzazione dei percettori – dipinti come approfittatori, ladri, spendaccioni, immeritevoli o fannulloni a seconda dei casi – il reddito di cittadinanza viene trasformato nel suo opposto, cioè in un'ingiustizia sociale da abolire, e non (magari) in qualcosa di perfettibile e perfezionabile, questo sì, soprattutto nella fase della cinghia di trasmissione verso la possibilità di trovare un lavoro che permetta di emanciparsi da una condizione sicuramente non auspicata da nessuno dei percettori: la disoccupazione di lungo periodo.
Inventarsi narrazioni alternative per colpire chi non ha neanche uno scudo di cartone per difendersi, è insopportabile.
Intendiamoci: la menzogna è sempre orribile, ma usarla per creare astio verso chi prende 500 euro al mese, da parte di chi ne prende 500 al giorno, è secondo me fuori dai canoni del sopportabile. E una campagna elettorale basata sulla rappresentazione malefica dei percettori del reddito di cittadinanza è veramente orribile.
Perché tutte le colpe ricadono sempre sui più poveri? Ve lo dico io: perché è più facile. Userò l'ironia, ma pochissima: i poveri sono un bersaglio perfetto, ad esempio sono ricattabili per il lavoro. Lo sono anche i ricchi, ma i ricchi possono ricattare a loro volta mentre i poveri no, non hanno i mezzi per reagire e di solito non hanno contatti importanti né amicizie altolocate, altrimenti non sarebbero poveri, e se chiamano un giornale non li conosce nessuno.
I poveri non hanno soldi per finanziare adeguatamente le campagne elettorali di qualche partito che poi sarà riconoscente "per l'impegno profuso e il determinante contributo alla vittoria che la donazione di quel privato gli ha dato".
I poveri stanno zitti, e quando provano a parlare non hanno cassa di risonanza, gliel'hanno tolta. Per questo è più facile aggredire chi non ha soldi rispetto – ad esempio – a chi viaggia con il jet privato.
Poi in Parlamento i poveri non ci stanno, e quelli che ci sono non erano poveri neanche prima di entrarci, figuratevi ora.
I poveri hanno profili social scarsi, non hanno milioni di followers, altrimenti non sarebbero poveri. Perciò se i poveri scrivono qualcosa non li legge nessuno, si demoralizzano e smettono anche di lamentarsi. Dunque meglio attaccare i poveri che i ricchi, è così che ragionano in tanti.
I poveri se vogliono organizzare una conferenza stampa non hanno tempo, non sanno come fare, poi dovrebbero comprare il buffet per i giornalisti mangioni, ma essendo poveri hanno difficoltà a prenotare un buffet con Fanta e Sprite per il compleanno della figlia, figurarsi per gli altri.
I poveri si sono rotti le balle, ma sono frantumati fra loro. Non riescono a coalizzarsi, a sentirsi uniti perché l'unione nella sfiga, in fondo, non piace a nessuno.
I poveri salvati dalla povertà assoluta grazie al reddito di cittadinanza sono un milione secondo l'Istat, ma non si sentono, non fanno rumore, non hanno tempo di gridare, e quando lo fanno gridano dalle loro case di periferia, e il grido si affievolisce prima di arrivare al centro delle città.
I poveri sono stanchi, perché devono sopravvivere.
I poveri votano e sono potenti ma non lo sanno: qualcuno dovrebbe dirglielo.