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Cgil a Fanpage: “Polizia manganella come nei regimi autoritari, manifestiamo per difendere democrazia”

La Cgil ha lanciato una manifestazione nazionale il 9 marzo che mette al centro due temi: la richiesta di cessate il fuoco a Gaza, dove è in corso una crisi umanitaria, e la difesa della libertà di manifestare. Salvatore Marra, responsabile Politiche internazionali del sindacato, ha spiegato a Fanpage.it.
A cura di Luca Pons
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Il 9 marzo la Cgil scenderà in piazza con una manifestazione nazionale per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e non solo. Già nel fine settimana del 23 e 24 febbraio, a due anni dall'invasione della Russia in Ucraina, si erano svolte numerose mobilitazioni per chiedere di fermare la violenza: in quell'occasione, a Pisa e a Firenze la polizia ha manganellato studenti in corteo sollevando proteste dal mondo politico e delle associazioni. Salvatore Marra, responsabile nazionale Politiche europee e internazionali per la Cgil, ha risposto alle domande di Fanpage.it sulla piazza del 9 marzo e cosa chiederà al governo Meloni.

La manifestazione ha due obiettivi, giusto?

Sì, siamo in piazza per due motivi. Il primo è dire che riteniamo ingiustificabile la violenza nei confronti di chi manifesta pacificamente. Quello di Pisa non è il primo atto simile, e non è un problema solamente di questo governo: ricordiamo gli atti violenti della polizia nei confronti dei manifestanti per il clima negli scorsi anni. Questo si lega al secondo tema, la lotta per il cessate il fuoco.

Come sono legati i due argomenti?

C'è una linea rossa che unisce i governi di estrema destra nazionalisti e populisti nel mondo: il disprezzo per il multilateralismo e il disprezzo per la democrazia. Da una parte si reprimono i luoghi di confronto che dovrebbero prevenire i conflitti, cosa che equivale a incoraggiarli. Dall'altra si reprimono le voci democratiche che mettono in discussione il potere. Penso a Donald Trump, che tagliò i contributi degli Usa all'Onu, e più avanti tentò un assalto al Campidoglio americano. E penso alle altre occasioni di repressione violenta, come le manganellate nei confronti degli studenti.

Parla di quanto è successo a Pisa e Firenze?

Quella era una manifestazione democratica, gli studenti non avevano attaccato le forze di polizia o compiuto atti violenti. Ma invece di gestire il dissenso, lo si reprime. È tipico di regimi autoritari come la Bielorussia di Lukashenko, o la Russia di Putin, che silenzia le mogli dei soldati morti in guerra. O Netanyahu stesso, che nei giorni immediatamente precedenti al 7 ottobre aveva fatto attaccare le grandi piazze democratiche che chiedevano un cambiamento profondo, e in molti casi anche le sue dimissioni.

Il governo Meloni ha detto che ci saranno verifiche su quanto accaduto, ma ha ribadito il supporto per le forze dell'ordine. Come giudicate la risposta?

Noi crediamo che il presidente della Repubblica Mattarella abbia risposto in modo efficace, e che il ministro Piantedosi ci abbia dato giustificazioni insufficienti. Non dimentichiamo che questo è il Paese in cui si è tornati a precettare i lavoratori, minacciandoli quando scioperano: Salvini lo ha fatto per ben due volte. Questo si aggiunge a un clima più generale che mette in discussione la democrazia.

Cosa chiedete al governo Meloni, sul cessate il fuoco?

Di fare esattamente il contrario di quello che sta facendo: smettere di investire in armi e investire in diplomazia. Le soluzioni non si trovano certo tramite l'invio ulteriore di armamenti o il contributo attivo all'industria militare. Cessare il fuoco significa anche dare la possibilità alla popolazione civile che si è trovata intrappolata dentro Gaza di mettersi al riparo. Quando gli ucraini furono bombardati dai russi, trovarono giustamente le porte spalancate della maggior parte degli Stati confinanti, e anche dell'Italia. Ora invece l'unico valico con uno Stato estero, quello di Rafah con l'Egitto, è chiuso.

Il governo italiano, come altri, ha deciso di tagliare i fondi a Unrwa, l'ente dell'Onu che fornisce assistenza umanitaria in Palestina. È un errore?

Condanniamo con forza la decisione. C'è un'indagine in corso, se ci sono dei responsabili e dei colpevoli saranno puniti con le misure previste. Però è inaudito che per ragioni puramente politiche e quasi ideologiche si tagli il finanziamento alle agenzie umanitarie. Anzi, i fondi per la cooperazione allo sviluppo in questo momento dovrebbero aumentare.

Anche perché a Gaza si sono superati i 30mila morti, e l'Onu ha segnalato che un quarto della popolazione è vicina a morire per fame.

Per questo motivo noi abbiamo avviato da tempo una raccolta fondi – siamo l'unico sindacato in Europa ad averlo fatto – e abbiamo quasi pronti due container che invieremo insieme ad altre realtà della società civile italiana al valico di Rafah. Il problema è fare entrare gli aiuti umanitari. E non vediamo sufficiente pressione dagli Stati europei. Non c'è un grido di allarme perché si aprano le frontiere per far entrare gli aiuti umanitari. C'è gente che sta morendo di fame, ci sono bambini mutilati che non hanno diritto alla cura. Ci sono violazioni serie dei diritti umani della popolazione a Gaza. E avviene con un silenzio colpevole degli Stati occidentali.

Siete favorevoli alla soluzione dei due popoli e due Stati, che anche il governo Meloni promuove?

Noi da sempre sosteniamo questa opzione, e lo facciamo anche dialogando con le organizzazioni sindacali israeliane e palestinesi. Siamo per una soluzione a due Stati, nelle forme e nelle modalità che decideranno, in particolare, i palestinesi.

Pensate che potreste essere criticati perché condannate il governo di Israele e non allo stesso modo Hamas, o gli attacchi del 7 ottobre?

Alla Cgil questo proprio non si può dire: il 7 ottobre sera abbiamo emanato un comunicato stampa molto chiaro, nel quale abbiamo condannato con forza l'attacco terroristico e la violenza scellerata di Hamas. Oggi la violenza è anche quella delle forze israeliane, che in questo momento stanno mettendo in ginocchio un'intera popolazione civile inerme. Sono state bombardate infrastrutture civili. Condanniamo Netanyahu per quello che sta facendo, ma ricordiamo anche che c'è un'ampia fetta di popolazione israeliana che fino al 7 ottobre era nelle piazze per protestare contro di lui. Era un leader screditato.

Per quanto riguarda Hamas, sentiamo parlare dell'intenzione di distruggerlo, ma Hamas non si distrugge con le bombe. Queste creano solo ulteriore odio. Come si può pensare che i giovani palestinesi che hanno vissuto l'orrore delle bombe a Gaza, un giorno debbano stringere la mano ai coetanei israeliani? Questo odio si stratifica, e rende più difficili i processi di pace.

Qual è la soluzione, quindi?

Hamas si distrugge costruendo le condizioni per la piena cittadinanza dei cittadini palestinesi. Creare uno Stato sociale palestinese forte, nel quale i palestinesi siano riconosciuti come cittadini a pieno titolo. Oggi queste persone non hanno uno Stato, non hanno un passaporto, non hanno un governo, non hanno diritti nel lavoro e nella società. Questo è il punto di fondo al quale bisogna dare risposta. Per anni gli occidentali hanno deciso di ignorarlo, lasciando alla radicalità e alla violenza di Hamas la gestione di intere fette della società palestinese.

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