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Centenario Marcia su Roma, quando l’Italia divenne fascista: cos’è successo il 28 ottobre 1922

Il 28 ottobre 1922 l’Italia fu consegnata a Mussolini diventando di fatto un paese fascista. A cento anni dalla marcia su Roma, ne ripercorriamo le cause e le conseguenze.
A cura di Saverio Tommasi
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È facile, parlando della Marcia su Roma, immaginare una moltitudine di gente in piazza con Mussolini a prendersi il potere con la forza. In realtà quel giorno, il 28 ottobre 1922, Mussolini nemmeno c’era e le camicie nere si fermarono a 100km dalla capitale. Il potere gli fu praticamente consegnato dal re Vittorio Emanuele III, senza arrivare a nessuno scontro. E la domanda che sorge spontanea è: perché il nostro Paese venne consegnato a Mussolini, nonostante i pestaggi, le violenze, gli omicidi commessi dalle squadracce fasciste? E cosa successe davvero il 28 ottobre del 1922, il giorno in cui l’Italia divenne fascista?

Le cause storiche della Marcia su Roma

Mussolini giocò molto sulla debolezza del governo – di cui l’allora presidente del Consiglio era Luigi Facta – e di un Paese uscito dalla Prima guerra mondiale debole, diviso, praticamente a pezzi. L’Italia aveva formalmente vinto la guerra, ma non era riuscita a ottenere la città di Fiume e la Dalmazia. Questa cosa fece diffondere un risentimento verso il governo, ritenuto incapace di difendere gli interessi della Nazione. Gabriele D’Annunzio fu il rappresentante più illustre di questi movimenti nazionalisti: fu lui, infatti, a coniare il termine di “vittoria mutilata”, e fu sempre lui che nel settembre del 1919 occupò la città di Fiume al comando di circa 2.600 "legionari". Proprio a Fiume, si parlò per la prima volta di una “leggendaria” marcia su Roma: l’obiettivo? Cacciare il governo e attuare un colpo di Stato.

La guerra aveva di fatto accelerato la crisi dello Stato liberale e messo in luce le debolezze del governo, incapace di dare risposte alle masse di operai e contadini che chiedevano migliori condizioni di vita e salari più alti . Crisi economica, povertà e sfiducia verso le istituzioni furono tra le cause che provocarono scioperi e agitazioni in tutto il Paese da parte dei socialisti. Sono gli anni tra il 1919 e il 1920, quelli del cosiddetto biennio rosso, in cui i partiti di sinistra promossero il maggior numero di scioperi, disordini e dimostrazioni in Italia. Il motto dei massimalisti del partito socialista era: “Fare come in Russia”. Pochi anni prima, infatti, nel 1917, in Russia si realizzò la rivoluzione comunista di Lenin. Le classi medio-alte italiane temevano che anche in Italia potesse accadere lo stesso: “Il socialismo – dicevano – deve essere fermato”.

I primi passi del fascismo

È in questo contesto di crisi economica e crisi dello Stato liberale che il fascismo mosse i primi passi.

Una delle chiavi del successo del fascismo fu l’uso della violenza contro i socialisti. Nel 1920 e soprattutto nel 1921, si formarono squadre d’azione fasciste nel Centro e nel Nord Italia. Non erano molte, ma erano ben organizzate, perché si trattava perlopiù di gruppi composti da reduci di guerra. Si facevano chiamare “Satana”, “Arditi della morte”, “Me ne frego”, “Ramazza”, “Asso di bastoni”.

Il modus operandi dei fascisti era sempre lo stesso. Le “squadracce” si muovevano a bordo dei camion – che erano muniti di mitragliatrici, bombe a mano e persino cannoni – e si dirigevano verso i municipi e i sindacati socialisti. I dirigenti e militanti di sinistra venivano pestati a sangue, subendo umiliazioni fisiche di ogni genere. Secondo uno spoglio fatto dal Corriere della Sera dal 1 ottobre 1920 al 30 ottobre 1922, i fascisti uccisero 406 persone. Il conteggio del giornale era però parziale, perché non contava le morti di coloro che persero la vita più tardi, a causa delle conseguenze fisiche dovute ai pestaggi.

I fascisti picchiavano senza pietà e soprattutto senza paura, perché avevano il favore delle forze dell’ordine e della politica. Le istituzioni facevano fare ai fascisti il “lavoro sporco”, voltandosi dall’altra parte. Tant’è che i pochi fascisti arrestati venivano rilasciati molto presto, senza subire alcuna conseguenza. L’obiettivo della propaganda fascista era chiaro: far passare quegli attacchi di inaudita violenza come azioni giuste, legittime. Ma soprattutto, far apparire il fascismo come l’unica arma in grado di sventare una “rivoluzione socialista”.

Sarebbe però riduttivo identificare il fascismo esclusivamente come “la risposta” della borghesia italiana alle proteste dei lavoratori. In realtà, in Italia non si corse mai davvero il cosiddetto “pericolo di una rivoluzione socialista”, nemmeno durante l’esperienza del Biennio rosso, che si esaurì nell’ottobre del 1920.

Non si trattava solo di attacchi sistematici “contro il nemico rosso”: il “lavoro sporco” delle squadracce fasciste, infatti, aveva anche un altro scopo: preparare la trasformazione dello Stato liberale in un regime autoritario. La legittimazione delle violenze fasciste fu la premessa di ciò che sarebbe accaduto dopo, ovvero la creazione di uno Stato totalitario capace di controllare la società in ogni suo aspetto, in cui l’esistenza del partito unico e l’accentramento del potere nelle mani “dell’uomo solo al comando” segnavano la fine di ogni forma democratica.

L'ascesa di Benito Mussolini

Dietro queste aggressioni c’era un solo mandante: Benito Mussolini, il Duce, come si faceva chiamare dai suoi.

Un insegnante di scuola elementare scappato a Losanna per sfuggire al servizio militare obbligatorio e diventato attivista socialista prima e direttore di giornale poi, dichiarandosi un convinto antimilitarista finché, all’indomani dello scoppio del primo conflitto mondiale, non si schierò a favore dell'ingresso dell’Italia in guerra, alla quale vi partecipò in prima persona come bersagliere.

È proprio durante la prima guerra mondiale che si sviluppò l’embrione di quello che sarebbe diventato poi il fascismo.

I valori e i simboli del fascismo, infatti, Mussolini li prese in prestito proprio dalla guerra. Le famose camicie nere, per esempio, provenivano dagli arditi, ovvero dalle truppe speciali dell’esercito italiano. Anche Il fez, il copricapo indossato da Mussolini, faceva parte del vestiario dei bersaglieri, solo che l’originario colore rosso venne sostituito con il nero.

Anche la scelta del nero come colore predominante del fascismo non è casuale: il nero è da sempre il colore degli anarchici, che Mussolini usò per formazione e sfregio. Ma soprattutto, il nero rappresenta la morte. Tutti i simboli del fascismo – i teschi, le tibie incrociate, per esempio – richiamavano la morte. I fascisti si vestivano di nero proprio per incutere paura nel nemico, per spaventare chi non si impegnava abbastanza nella lotta e rifiutava  la guerra.

L’esaltazione della violenza era la grande novità portata avanti dal fascismo, che si manifestò per la prima volta nel 1919 a Milano, quando i fascisti incendiarono la sede dell’Avanti, il giornale socialista che pochi anni prima aveva diretto proprio Mussolini.

Le elezioni del 1921 segnarono l’entrata in Parlamento di 35 deputati fascisti, tra cui lo stesso Mussolini. Ed è tra i palazzi del potere che Mussolini tesseva le fila per attuare un colpo di Stato. Il Duce aveva scommesso tutto sulla debolezza del governo, guidato dal giolittiano Luigi Facta, e sulla neutralità del re Vittorio Emanuele III.

Il Duce temeva che la “tolleranza” verso gli squadristi, prima o poi, si sarebbe esaurita: per attuare una rivoluzione fascista, bisognava andare al governo. E in fretta. Mussolini, però, sapeva bene che se avesse sfidato l’esercito, le camicie nere non avrebbero avuto scampo. Non poteva conquistare il potere con la forza, ma sarebbe dovuto essere lo Stato a consegnarglielo. Ed è quello che accadde.

La Marcia su Roma: 28 ottobre 1922

Il 24 ottobre del 1922, a piazza Plebiscito a Napoli, Mussolini annunciò la marcia su Roma: “O ci daranno il governo o ce lo prenderemo calando su Roma”. I fascisti iniziarono a occupare i punti strategici di ogni città: stazioni, poste, prefetture, radio e giornali. L’obiettivo era isolare le singole città, così che non potessero comunicare col ministero dell’Interno e col governo centrale.

Di fronte all’avanzata fascista, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, il presidente del Consiglio Facta preparò il decreto per dichiarare lo stato d’assedio.

Per stato d’assedio si intende una misura d’emergenza eccezionale per fronteggiare situazioni interne particolarmente gravi. La dichiarazione dello stato d’assedio comporta due cose: la sospensione momentanea delle leggi di garanzia o della Costituzione di uno Stato; l'assunzione dei poteri civili da parte dell’autorità militare. Per essere attuata in Italia, era necessaria la firma del re.

Tutto, quindi, era nelle mani del re Vittorio Emanuele III, che decise però di non firmare il decreto. Il re temeva che, se avesse firmato lo stato d’assedio, avrebbe scatenato una guerra civile. E poi, non si fidava dell’esercito che, con lo stato d’assedio in vigore, avrebbe avuto i pieni poteri.

Quindi, con una Roma affollata di fascisti, il 30 ottobre 1922 il re convocò Benito Mussolini. Il Duce giunse nella capitale in mattinata e incontrò il re, che gli conferì l’incarico di formare un nuovo governo

L'anno zero del fascismo

La marcia su Roma è l’anno zero del fascismo. Lasciar ricadere la colpa del ventennio fascista sul re sarebbe superficiale. La colpa più grande dei protagonisti dell’epoca fu quella di non aver capito cos’era davvero il fascismo. Non lo capì il re, ma nemmeno le altre forze politiche in campo, che credevano di poter usare il fascismo nelle urne e nelle piazze in chiave “anti socialista”. Credevano che in qualche modo il fascismo potesse “istituzionalizzarsi”, abbandonare la deriva violenta e rientrare nel solco della democrazia.

Con queste parole, iniziava ufficialmente il governo fascista di Benito Mussolini: "Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto".

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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