Cassazione: il figlio ha diritto a cercare l’identità della madre che era rimasta anonima
Un figlio maggiorenne nato da una donna che al momento del parto è voluta rimanere anonima e non lo ha riconosciuto ha diritto a tentare di conoscere le sue origini. Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza 1946, depositata. In questo modo i giudici di legittimità sono intervenuti su una questione che da tempo dava origine a dibattiti e decisioni divergenti a seconda del Tribunale dei minori chiamato a pronunciarsi.
La Corte Costituzionale, infatti, aveva dichiarato con la sentenza 278 del 2013 illegittime le norme che impediscono, per motivi di privacy, di interpellare la madre. Da quel momento in poi, si è atteso l'intervento del legislatore sul punto, poi la palla è bassata ai giudici di legittimità. Il primo presidente Giovanni Canzio aveva incaricato "data la particolare rilevanza della questione" le Sezioni Unite di pronunciarsi dopo che alla procura della Cassazione era arrivata in una richiesta di chiarimenti proveniente dall'Associazione dei magistrati per i minorenni e la famiglia.
In questi quasi quattro anni i Tribunali dei minori hanno deciso in maniera non uniforme: quelli di Milano, Catania, Bologna, Brescia e Salerno hanno respinto la richiesta di interpello della donna che ha partorito poiché ritenevano "necessario attendere l'intervento del legislatore per dare corso alla richiesta del figlio a che il giudice interpelli in via riservata la madre naturale circa la persistenza della sua volontà di non essere nominata"; altri tribunali, come quelli di Trieste, di Piemonte e Valle d'Aosta, o la Corte di Appello di Catania sezione per i minori, hanno ammesso "la possibilità di interpello riservato anche senza la legge", "in forza dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza ‘Godelli' contro Italia nel 2012) e per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale del 2013".
Il caso specifico su cui si è pronunciata la Cassazione riguardava una vicenda di cui si era occupata la Corte d'Appello di Milano – contraria all'interpello della madre. Secondo i giudici di legittimità, così come per la Consulta, le norme che precludevano sempre la verifica "della perdurante attualità" della scelta dell'anonimato erano da giudicarsi eccessivamente rigide. In questo modo la Cassazione ha cercato di coniugare "il diritto fondamentale del figlio a conoscere la propria identità, nel rispetto del contrapposto diritto all'anonimato della madre". Nonostante "il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa", esiste "la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione", si legge nella sentenza. In questi casi, le modalità da seguire vanno dedotte "dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte Costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorquando la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità".