Caso Unicredit-Bpm, cosa succede ai correntisti dopo l’offerta e perché il governo Meloni si è opposto
Ha fatto molto discutere, negli ultimi giorni, la Ops (Offerta pubblica di scambio) di Unicredit nei confronti di Banco Bpm, ex Banca popolare di Milano. Si tratta sostanzialmente dell'offerta di acquisire la banca lombarda, in cambio di circa 10,1 miliardi di euro di azioni. Anche se oggi il consiglio di amministrazione di Bpm ha dato un parere negativo, l'offerta è in piedi.
Fanpage.it ha contattato Sandro Sandri, professore ordinario di Finanza aziendale all'Università di Bologna, e Ugo Pomante, ordinario di Economia degli intermediari finanziari all'università di Roma Tor Vergata, per chiarire i punti più importanti della vicenda: perché se ne parla, cosa potrebbe cambiare per i clienti delle due banche (la cosa più probabile è che non ci siano differenze) e perché il governo Meloni ha reagito duramente – sia con Matteo Salvini che con il ministro dell'Economia Giorgetti, che ha evocato l'uso del golden power, ovvero la prerogativa del governo di bloccare accordi che possono andare contro l'interesse nazionale in settori strategici.
Perché Unicredit ha lanciato un'offerta pubblica di scambio (Ops) per Bpm
"Ci sono due motivi per cui Unicredit vuole comprare" Banco Bpm, ha spiegato Sandri. Il primo è che "ha tanti soldi, come non ne ha mai avuti", perché negli ultimi anni "le banche hanno fatto profitti molto alti quando i tassi di interesse attivi sono cresciuti e i tassi passivi non sono cresciuti".
Il secondo motivo è che ora il mercato delle banche, in Italia e in Europa, "è un mercato maturo. Quando il mercato è maturo, bisogna allargarsi e diventare grandi per continuare ad avere profitti". Insomma, l'operazione si spiega perché "è il momento buono per farla".
Secondo Pomante, il motivo per cui si è parlato così tanto di Unicredit nelle ultime ore è "l'immaginazione per la presenza di macchinazioni occulte: uno degli sport più popolari in Italia". E tuttavia, ha aggiunto: "Mi spiace deludere gli amanti di questo sport: l’operazione Unicredit-Bpm è quanto di più lineare e trasparente si possa immaginare in ambito finanziario".
Infatti, ha spiegato: "C'è una banca italiana quotata, Unicredit, in ottima salute (negli ultimi tre anni il suo prezzo in borsa è cresciuto del 220%, sensibilmente di più rispetto alla media italiana ed europea), che per ragioni strategiche ha identificato in Banco Bpm, anch’esso in ottima salute, un soggetto complementare per la creazione di un istituto bancario di maggiori dimensioni, ancora più competitivo in Europa e quindi capace di creare valore per gli azionisti".
A maggior ragione, ha sostenuto il docente, si può affermare con certezza che l'operazione è "trasparente" per una serie di motivi. Innanzitutto "Unicredit è una banca ad azionariato diffuso. Detto in altre parole, non vi è nessun ‘grande azionista' che controlla la banca e che disegna le linee strategiche. Quella sotto i nostri occhi è l’operazione pensata dai manager di Unicredit nell’interesse degli azionisti. Il grande burattinaio non esiste".
In più, "l'offerta prevede uno scambio di azioni a condizioni eque". Unicredit insomma ha presentato un'offerta "in linea con il suo valore di mercato". Un buon segnale, perché "sparisce anche l'ipotesi che l'operazione avvenga ad un prezzo non equo, allo scopo di favorire qualcuno".
Cos'è il golden power e perché il governo Meloni ha reagito così
In questo caso, la risposta degli esperti è netta: niente. O almeno, niente di sostanziale. Sandro ha detto esplicitamente: "Non cambia niente. Il discorso non è questo. La strategia è essere grandi, più ti allarghi più hai margini, minori sono i costi. Ovviamente l'obiettivo è guadagnare di più, ma questo non passa da un peggioramento delle condizioni per i clienti". Anche perché, ha aggiunto, "già non è che le condizioni che si offrono ai clienti siano così favorevoli da dover temere un peggioramento".
Pomante ha concordato: i correntisti "possono vivere sonni tranquilli". Tra le due banche "vi sono poche sovrapposizioni territoriali", e questo è proprio uno dei motivi "alla base dell’offerta". Questo dovrebbe impedire che ci siano eventuali problemi di limitazione della concorrenza. E in ogni caso, ha ricordato il professore, "il cliente sarà tutelato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato". Insomma, se dall'acquisizione dovessero emergere dei rischi sarà l'Antitrust a intervenire.
Perché il governo Meloni ha reagito così male
Nelle ore immediatamente successiva all'offerta di Unicredit è arrivata anche la reazione dell'esecutivo. Le parole più dure sono state quelle del ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, che ha definito Unicredit una banca che "ormai di italiano ha poco e niente" e ha chiesto di non "mettere in difficoltà" l'accordo per unire Bpm e Monte dei Paschi di Siena. Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ha detto che l'offerta era "comunicata ma non concordata" con il governo, e ha ricordato che "esiste il golden power", cioè il potere dell'esecutivo di intervenire e bloccare alcune operazioni commerciali in settori strategici per gli interessi nazionali.
Prima di tutto, bisogna chiarire che Unicredit è una banca italiana. Lo ha spiegato Pomante: "Ha sede in Italia, è quotata in Italia e i dipendenti, parecchie decine di migliaia, sono in prevalenza italiani. Ha certamente una aspirazione internazionale, ma è cosa doverosa per una realtà di così grande dimensione". Per questo motivo, non solo le parole di Salvini sembrano sbagliate, ma anche "evocare il golden power" ha poco senso: "Vorrebbe dire che per interessi nazionali impediamo che una banca italiana compri un’altra banca italiana".
Per di più, Salvini ha anche chiesto provocatoriamente l'intervento della Banca d'Italia: "C'è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila? Da italiano vorrei sapere se c’è qualcuno che voglia fermare l'accordo Bpm e Monte Paschi. Però c'è Bankitalia, quindi noi dormiamo sonni tranquilli". Anche in questo caso, però, Pomante ha chiarito: "I compiti di vigilanza spettano alla Banca centrale europea, la Banca d’Italia coopera con quest'ultima". Ma anche al di là di questo, "l'eccessiva frammentazione del sistema bancario italiano è stata da sempre considerata come un elemento di debolezza. Come si può pensare che le autorità di vigilanza considerino negativamente una operazione di questo tipo?".
Probabilmente, ha concluso il professore, "la reazione degli esponenti di governo è legata al fatto che stavano giocando un ruolo strategico importante sulla nascita del terzo polo, che potrebbe saltare se l'operazione di Unicredit si concludesse". È noto, infatti, che da tempo il governo cerca di ‘sistemare' la questione di Monte dei Paschi di Siena – che è una società a partecipazione pubblica – cedendola ad altre, per formare un ‘terzo polo' bancario nel Paese alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit. Questa operazione, naturalmente, rovinerebbe i piani.
Negli ultimi anni, durante un periodo di difficoltà di Unicredit, Intesa è diventata la prima banca in Italia con un certo distacco. "Con questa operazione, invece, i due gruppi diventerebbero molto simili", ha detto Sandri. "Per una terza banca italiana diventerebbe molto più difficile emergere. Rimarrebbe il Monte dei Paschi. Non a caso ora la politica concentra l'attenzione lì".