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Omicidio Giulio Regeni

Caso Regeni, i genitori: “Abbiamo perso tempo, invio dell’ambasciatore un fallimento”

I genitori di Giulio Regeni tornano a parlare sei mesi dopo il nuovo invio dell’ambasciatore italiano in Egitto, definendo questa la sua missione un “fallimento”: “Abbiamo perso tempo, occorre cambiare la rotta e pretendere senza ulteriori indugi”.
A cura di Stefano Rizzuti
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Sei mesi dopo la decisione del governo di inviare nuovamente l’ambasciatore italiano al Cairo in seguito alla morte di Giulio Regeni, i genitori del giovane ricercatore ucciso alzano la voce: “Abbiamo perso tempo, occorre cambiare la rotta e pretendere senza ulteriori indugi”. Il ritorno dell’ambasciatore italiano, secondo Paola e Claudio Regeni, che hanno scritto una nota insieme alla loro legale Alessandra Ballerini, è stato un fallimento. La missione “doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su tutto il male del mondo inferto su nostro figlio”, ma secondo i genitori di Giulio si è rivelata un “fallimento”.

Crediamo sia necessario un immediato cambio di rotta con l'immediata consegna dei video della metropolitana e la concertazione di una strategia investigativa comune tra Egitto e Italia”, affermano i due con l’avvocato. E aggiungono:

Noi, e con noi tutti quelli che in ogni angolo del mondo hanno a cuore la verità sul sequestro, le torture e la morte di nostro figlio Giulio temevamo che questo gesto sarebbe stato interpretato come una resa incondizionata a quel potere che ha annientato Giulio e che occulta impunemente la verità da ormai due anni. Ed in effetti l'ambasciatore Cantini non aveva ancora fatto in tempo ad insediarsi che le autorità egiziane, forti di questa ‘normalizzazione dei rapporti’, provvedevano a oscurare il sito della Ecrf, l'Ong alla quale appartengono i nostri consulenti egiziani; arrestare in aeroporto l'avvocato Ibrahim Metwaly che stava recandosi a Ginevra invitato dall'Onu a riferire sulle sparizioni forzate e sul caso di Giulio (il legale è ancora in carcere, sottoposto a trattamenti inumani e degradanti); disporre una perquisizione e un tentativo di chiusura di Ecrf. La decisione dell'invio dell'ambasciatore al Cairo del 14 agosto scorso seguiva di pochi minuti il comunicato congiunto delle procure italiana ed egiziana nel quale si riferiva che: ‘come preannunciato sempre nel maggio scorso, è stata poi effettivamente affidata ad una società l'attività di recupero dei video della metropolitana e le attività stesse sono in corso. La procura egiziana ha ribadito l'impegno a condividere i risultati raggiunti non appena la società incaricata depositerà l'esito del proprio lavoro'; e si dava atto di aver ‘concordato un nuovo incontro tra i due uffici da organizzarsi a breve per fare assieme il punto della situazione'.

I genitori di Regeni e l’avvocato Ballerini aggiungono:

In realtà i video della metropolitana non sono mai stati consegnati e, ad oggi, non si sa neppure se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero. L'incontro tra le due procure poi, diversamente da quanto annunciato, non si è tenuto a breve, ma solo a fine dicembre su insistenza dei nostri procuratori che hanno consegnato ai colleghi egiziani ‘una articolata e attenta ricostruzione dei fatti, effettuata dalla Polizia Giudiziaria italiana'. La Procura generale egiziana si era impegnata, come si legge nel comunicato del 21 dicembre scorso a ‘proseguire le indagini, sulla base anche delle ipotesi investigative formulate dai magistrati italiani’. Da allora non è stata registrata in realtà nessuna ‘reazione' da parte della magistratura egiziana sulla informativa italiana che ricostruisce le precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani perfettamente individuati. Sono passati, da quel 14 agosto, altri sei mesi. Le atrocità commesse dal governo egiziano, a dispetto della volontà di alcuni, non sono state dimenticate, non solo dal ‘popolo giallo' ogni giorno più numeroso, ma dalle centinaia di altre famiglie che hanno subito e subiscono continuamente le sparizioni forzate dei loro cari. Se, come ci era stato garantito dal nostro Governo, l’invio dell'ambasciatore doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su ‘tutto il male del mondo' inferto su nostro figlio, il fine evidentemente non è stato raggiunto e la missione in questo senso è fallita. Non è possibile normalizzare i rapporti con uno stato che tortura, uccide e nasconde oltraggiosamente la verità, se non a scapito della credibilità politica del nostro Paese e di chi lo rappresenta.

La nota si chiude con un appello: “Crediamo sia necessario un immediato cambio di rotta. Occorre alzare la voce e pretendere, senza ulteriori indugi, un incontro tra le due procure finalizzato all'immediata consegna dei video della metropolitana e alla concertazione di una strategia investigativa comune sulle nove persone già identificate come responsabili dai nostri investigatori e magistrati. Solo così la presenza dell'ambasciatore Cantini al Cairo non avrà il sapore di una resa ma acquisterà la dignità di una pretesa e, possibilmente, di una conquista di giustizia”.

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