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Il caso Cospito

Caso Cospito, Luigi Manconi a Fanpage: “Il 41bis viene applicato in modo illegale ogni giorno”

Il caso di Alfredo Cospito, anarchico detenuto in regime di 41bis e in sciopero della fame da quasi 100 giorni, ha sollevato un dibattito sul ‘carcere duro’ e sull’ergastolo ostativo in Italia. Luigi Manconi, sociologo e giornalista, ha spiegato a Fanpage.it perché sono misure da cambiare o eliminare.
A cura di Luca Pons
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Luigi Manconi, giornalista e sociologo da anni impegnato nella difesa dei diritti civili, ha parlato a Fanpage.it per commentare la situazione di Alfredo Cospito, anarchico detenuto in regime di 41bis che è in sciopero della fame da quasi 100 giorni per protestare contro le sue condizioni. Ma anche il dibattito in Italia sul 41bis (che non dovrebbe essere "carcere duro", ma spesso lo diventa) e sull'ergastolo ostativo (una misura che Cospito definisce "profondamente, incondizionatamente anticostituzionale").

Partiamo dal caso di Alfredo Cospito. Lo sciopero della fame va avanti da quasi 100 giorni, e il suo stato di salute peggiora. Come pensa si concluderà la vicenda?

L'unica soluzione praticabile è quella di un intervento diretto del ministro della Giustizia. Questa è la sola via rimasta.

Cosa dovrebbe fare il ministro Nordio?

Dovrebbe decidere di prendere in mano la questione in due modi. Prima revocare un dispositivo, introdotto una dozzina di anni fa, che interdice al ministro la possibilità di revoca del 41bis. Ma questo è una procedura fattibile. Successivamente, dovrebbe disporre la sospensione del provvedimento di 41bis nei confronti di Cospito. Il fatto che si trovi al 41bis è l'esito di una decisione perlomeno sproporzionata, cioè eccessiva rispetto alle circostanze che devono essere considerate in un caso del genere.

Considerando la posizione del governo Meloni sul tema del 41bis, pensa che il ministro interverrà?

Io voglio continuare a sperare. Mi sembra letteralmente inaudito che questa situazione debba rotolare verso il suo esito tragico quando è possibile intervenire positivamente. Quindi, nonostante tutto, continuo a ritenere che questa decisione del ministro ancora sia possibile.

Come giudica il dibattito pubblico che si è sviluppato attorno al caso di Cospito?

C'è un misto di cinismo e di sufficienza, una miscela di improntitudine e di disprezzo. Che però alla resa dei conti nasconde un'indifferenza per la vita umana. Si avverte l'idea diffusa che poi, alla resa dei conti, qualcosa accadrà. Che poi è tutt'altro che inevitabile che Cospito debba morire. Purtroppo la realtà dei fatti dice l'esatto contrario.

Lei ha ricordato che Cospito non sarebbe il primo a morire per uno sciopero della fame in carcere, in Italia.

Esatto, nell'arco di una dozzina d'anni – e senza che vi fossero reazioni da parte di nessuno –  ben quattro persone sono morte di fame, cioè hanno condotto il loro digiuno fino alle estreme conseguenze, all'interno del sistema penitenziario italiano. Peraltro, la durata del loro sciopero della fame era assai più breve di quello intrapreso da Alfredo Cospito. Anche Bobby Sands, il militante dell'Ira molto in un carcere in cui si trovava per la sua partecipazione alla lotta per l'indipendenza dell'Irlanda, morì dopo 66 giorni di digiuno. Cospito è ormai intorno al centesimo giorno.

Cospito sta protestando per le condizioni di detenzione al 41bis. Pensa che l'arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto una settimana fa, abbia reso più difficile parlare in modo critico di carcere duro?

Sì, per una ragione elementare. È diventato pressoché impossibile parlare dei grandi temi del diritto senza una pesante ipoteca emotiva. Siccome abbiamo visto le immagini di quell'uomo, e quindi ne abbiamo ripercorso il terribile curriculum criminale, è inevitabile che il giudizio sullo stato di detenzione a cui egli è già sottoposto sia più difficile da formulare con equilibrio. È un meccanismo mentale al quale tutti, ma proprio tutti, siamo soggetti in qualche modo.

La reazione istintiva per molti è "lui il carcere duro se lo merita".

È ovvio che se noi stiamo discutendo dell'equità di una pena, è difficile ignorare ciò che che la persona che dovrà essere sanzionata induce in noi. Se davanti a noi c'è quello che tutto ci induce a ritenere un mostro, è difficile sottrarsi alla tentazione di immaginare per lui una pena altrettanto mostruosa.

Secondo lei si può superare questa tentazione?

Il compito gravoso che democratici devono svolgere è quello di considerare le leggi non fotografandoli addosso al reo che in quel momento incontra la nostra disapprovazione, la nostra ripugnanza come può essere nel caso di Matteo Messina Denaro. Ma in un quadro complessivo in cui si valutano i reati, le sanzioni, e l'equilibrio complessivo della società. Questo è ovviamente davvero davvero molto difficile. Oggi giudicare l'opportunità delle misure di 41bis senza essere condizionati da una comprensibilissima e umanissima pulsione di vendetta è assai difficile.

Parlandone in termini più complessivi, cosa c'è di sbagliato nel regime di 41bis?

In termini generali, io trovo che quello sul 41bis sia un discorso fattibile, persino semplicemente fattibile. Credo di non aver mai detto di volere l'abolizione del 41bis. Potrei aver detto che sono favorevole all'abolizione di questo 41bis.

In che senso?

Parto da una precisazione: qualunque cronaca giornalistica, nel raccontare il 41 bis, finisce inevitabilmente – per povertà di linguaggio inevitabile – per dire "il 41 bis, ovvero il carcere duro". Qui c'è già uno slittamento linguistico del tutto immotivato. Il 41 bis non è il carcere duro.

Qual è la differenza?

Il carcere duro significa una detenzione connotata da una serie di misure sanzionatorie, discriminatorie e punitive, che annullano la dignità del condannato. Il 41bis non è in alcun modo questa degenerazione. Il 41bis è un regime che ha una e una sola finalità: quella di recidere i legami tra il detenuto e l'associazione criminale di appartenenza. Questa, lo ripeto, è la sua unica finalità. E questa finalità la si può ottenere con dispositivi e controlli che non necessariamente devono portare a infliggere sanzioni e limiti che offendono la dignità della persona e che non hanno alcuna giustificazione razionale.

Il problema quindi non è tanto la norma sulla carta, ma il modo in cui viene applicata?

Esatto. Faccio due semplici esempi: a Cospito venne negata la possibilità di tenere nella propria cella le fotografie dei propri genitori defunti prima che il sindaco del luogo dove risiedevano quei suoi genitori avesse riconosciuto le foto. C'è in questo divieto una qualche ragione di sicurezza? Se non c'è, quella misura è una misura da carcere duro totalmente illegale. Non richiesta dal 41 bis. Imposta illegalmente.

Alla brigatista rossa Desdemona Lioce, da un giorno all'altro fu dimezzata la dotazione di quaderni sui quali lei scriveva. C'è la necessità di recidere i legami tra lei e l'organizzazione criminale d'appartenenza, nel sottrarre metà della carta di cui dispone? Ovviamente no, nessuna relazione tra le due cose. Dunque il carcere di 41 bis, in una gran parte di casi e per un ampio ventaglio di misure, si traduce quotidianamente in un carcere duro che viola la legge istitutiva del regime di 41bis.

Servirebbe un intervento sull'applicazione del 41bis, e non la sua abolizione?

Sicuramente è necessario questo. Poi qualcuno, penso a Gerardo Colombo (ex magistrato che ha partecipato a inchieste come quelle sulla loggia P2 e su Mani pulite, ndr), arriva a dichiarare anticostituzionale quel regime. La Corte costituzionale invece non l'ha dichiarato complessivamente anticostituzionale. Ma quello che mi preme è soprattutto contestare quel regime per come viene quotidianamente applicato a circa 750 persone.

Un'altra parte del dibattito sul carcere in Italia riguarda l'ergastolo ostativo, cioè il divieto di accedere a benefici penitenziari e misure come la libertà condizionale. La Corte costituzionale l'ha dichiarato incostituzionale, ma il governo Meloni ha persino accennato alla possibilità di cambiare la Costituzione per tutelarlo. Cosa ne pensa?

Mi sembra un ragionamento molto bizzarro, quello di voler cambiare la costituzione per adattarla a una norma. Peraltro il governo è già intervenuto pochi mesi fa, perché spinto proprio dalla sentenza della Corte costituzionale sulla misura dell'ostatività, con una modifica che l'ha trasformata in peggio.

La misura è stata inserita nel decreto Rave. In che modo ha peggiorato l'ergastolo ostativo?

L'ha reso ancora più pesante e oppressivo. Ha reso ancora più difficile la possibilità per il condannato di poter accedere ai benefici e alla libertà condizionale dopo 30 anni di detenzione. Lo ritengo un provvedimento squisitamente reazionario, ostile alla lettera e allo spirito del dettato costituzionale, in particolare dell'articolo 27 comma 3 della Costituzione ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", ndr). Perché non si deve dimenticare: la categoria di ostatività si fonda su un principio profondamente incondizionatamente anticostituzionale.

Qual è questo principio?

L'ostatività si fonda in un'idea di irredimibilità del condannato. Non si prevede la possibilità di emancipazione dal crimine di cui si è reso responsabile. Significa una pena fissa, che immobilizza il condannato, lo impicca al suo reato. Quella persona è ridotta allo status di condannato, quella persona è il suo delitto. Tutto ciò è la negazione più sfrontata e oltraggiosa della Costituzione italiana.

Crede che adesso riprenderà la battaglia legale contro l'ergastolo ostativo, per arrivare a una nuova condanna della Corte costituzionale?

Sì, una importante battaglia dei prossimi anni dovrà essere questa. Mi auguro che un giudice sollevi nuovamente questa eccezione di costituzionalità, che la Corte costituzionali si pronunci, poi vedremo se il legislativo arriverà a provvedimenti di legge che rispettino, questa volta, l'indirizzo di tutela della Costituzione.

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