Caso Almasri, un’altra vittima del generale libico denuncia l’Italia per omissioni e favoreggiamento
![Immagine](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2025/01/Thumb-mia-1200x675.jpg)
"Sono stata stuprata e massacrata di botte tutti i giorni per almeno un anno nella prigione di Mitiga. Almasri e i suoi soldati mi hanno distrutto la vita", così una donna della Costa d'Avorio, sopravvissuta agli orrori delle carceri libiche, ha annunciato la sua denuncia contro lo Stato italiano.
La donna, che oggi vive in Italia, ha depositato l'atto presso la Procura della Repubblica di Roma, assistita dall'avvocata Angela Bitonti, presidente dell'Associazione per la promozione e tutela dei diritti fondamentali dell'uomo. L'accusa è la seguente: il Governo italiano avrebbe omesso di assicurare alla giustizia Njeem Osama Almasri, ex capo della polizia libica accusato di crimini contro l'umanità e ricercato dalla Corte Penale Internazionale.
L'accusa: omissioni e favoreggiamento
La denuncia punta il dito contro le istituzioni italiane, ritenute responsabili di aver permesso il rientro di Almasri in Libia, invece di consegnarlo alla giustizia internazionale: "Gli organi dello Stato avrebbero posto in essere omissioni e/o favoreggiamento non assicurando alla giustizia il sig. Njem Osama Almasri", si legge nel documento depositato dall'avvocata Bitonti. Per la donna, la decisione del Governo italiano rappresenta un tradimento della giustizia: "Sono venuta dalla Libia per sfuggire alla morte su un gommone appena galleggiante, il mio carnefice è tornato a casa su un aereo di Stato. Qualcuno mi spieghi davvero quello che è accaduto".
L'orrore delle carceri libiche e il ritorno di Almasri
Nella sua denuncia, la donna racconta l'inferno vissuto nella prigione di Mitiga, centro di detenzione noto per le sistematiche violazioni dei diritti umani di cui è capo Almasri: "Ho visto tante donne come me morire a Mitiga, morire di stupro. Sono stata l'agnello sacrificale per uno squadrone di uomini per tanti mesi. Sono viva per miracolo".
Non solo dolore personale, ma anche senso di ingiustizia per il mancato arresto del generale libico: "Credevo di essere arrivata in un Paese giusto e libero, invece sono stata sacrificata di nuovo. Oggi, guardando indietro, dico che avrei preferito morire a Mitiga".
L'appello dell'avvocata: "Sia fatta giustizia"
L'avvocata Angela Bitonti ha ribadito la necessità di accertare eventuali responsabilità dello Stato italiano nella mancata esecuzione del mandato di arresto internazionale: "Sia fatta giustizia su questa tristissima vicenda umana e su tutte quelle passate dall'inferno delle carceri libiche".
L'apertura di un’inchiesta su questa vicenda potrebbe gettare luce su eventuali violazioni del diritto internazionale e sul ruolo delle autorità italiane nel destino di uno degli uomini più ricercati al mondo.