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Caso Almasri

Caso Almasri, Giorgia Meloni attacca la magistratura: “Alcuni giudici vogliono governare”

La premier Giorgia Meloni, indagata con Nordio e Piantedosi per il caso Almasri, accusa la magistratura di interferire con la politica e denuncia una giustizia “politicizzata”. La maggioranza critica il procuratore Lo Voi, mentre le opposizioni parlano di vittimismo e attacco all’indipendenza dei giudici.
A cura di Francesca Moriero
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L'indagine che vede Giorgia Meloni insieme ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, indagata per favoreggiamento personale e peculato, sul caso del generale libico Almasri: "Alcuni giudici vogliono governare. E se vogliono governare, allora si candidassero". A dirlo la stessa Meloni, in collegamento all'evento La ripartenza 2025 organizzato da Nicola Porro.

Secondo la premier, alcuni magistrati starebbero cercando di esercitare un potere che non spetta loro. Nel suo discorso, Meloni ha ampliato il tema, parlando di una battaglia più ampia per un' "Italia normale" e denunciando l’operato di una magistratura politicizzata che, a suo dire, colpisce chi non è allineato alle sue idee. "Queste degenerazioni hanno messo in ginocchio la nazione più bella del mondo", ha affermato.

La premier ha poi evidenziato una presunta asimmetria tra politica e magistratura: "Se io sbaglio, gli italiani mi mandano a casa. Se sbagliano loro, non succede nulla. Nessun potere al mondo in una democrazia funziona così".

Meloni ha contestato anche le modalità con cui è stato avviato il procedimento: l'atto con cui la Procura di Roma ha trasmesso l'esposto al Tribunale dei ministri e poi ha informato le persone coinvolte – lei stessa, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano – è stato "chiaramente voluto", secondo la premier.

"Tutti sanno che le Procure in queste cose hanno la loro discrezionalità", ha dichiarato Meloni, per poi aggiungere: "Lo dimostrano le numerose denunce di cittadini contro le istituzioni su cui si è deciso di non procedere con l’iscrizione nel registro degli indagati, come negli anni del Covid".

Numerosi esponenti della maggioranza hanno preso immediatemente posizione sulla vicenda, alimentando il dibattito sul ruolo della magistratura.

Tajani critica il procuratore Lo Voi

Il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha espresso critiche nei confronti del procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, dichiarando: "Questa scelta, a mio avviso, non fa l’interesse dell’Italia". Secondo Tajani, la decisione di iscrivere nel registro degli indagati alcuni membri del governo non sarebbe un atto dovuto, ma una scelta discrezionale:
"Mi auguro che non sia legata ad altre vicende. È frutto della richiesta di un avvocato che, in passato, ha fatto parte di un governo di sinistra e ora appartiene all’opposizione. A pensar male si fa sempre bene". Il ministro ha poi ribadito l’importanza della separazione dei poteri, sottolineando che: "Ogni atto del governo non può essere sottoposto costantemente al giudizio della magistratura, altrimenti si limita l’azione dell’esecutivo e del legislativo. La giustizia non deve travalicare i propri confini e sconfinare nella politica".  Tajani ha anche commentato l’operato della Corte Penale Internazionale, criticandone l’intervento tardivo nel caso Almasri, un "signore che girava liberamente per l’Europa da tempo. Perché non si è intervenuti prima?".

La Russa: "Attacco politico alla premier"

Anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, è intervenuto sulla questione, definendo l’inchiesta un attacco politico a Giorgia Meloni: "Prima si è parlato di un ‘non-avviso di garanzia’, poi persino chi ha fatto l’esposto ha cercato di minimizzare, temendo forse le reazioni dell’opinione pubblica".

A stretto giro, ha replicato Luigi Li Gotti, autore dell'esposto: "Non dedico neanche un secondo alle parole di La Russa. Per oltre vent'anni sono stato nel mirino di Totò Riina, figuriamoci se mi preoccupo di certe dichiarazioni, anche se provengono dalla seconda carica dello Stato".

FdI chiede chiarezza sui voli di Stato usati da Lo Voi

Fratelli d'Italia ha sollevato interrogativi sul presunto utilizzo dei voli di Stato da parte del procuratore Lo Voi per spostarsi tra Roma e Palermo: secondo il partito di maggioranza, il magistrato avrebbe fatto ricorso contro lo stop imposto dal governo, alimentando sospetti su un possibile conflitto con Palazzo Chigi. Il vicecapogruppo di FdI al Senato, Salvo Sallemi, ha dichiarato: "Le indiscrezioni sui voli di Stato gettano ombre sulle indagini contro Giorgia Meloni e il governo. Serve chiarezza. Sarebbe imbarazzante scoprire che il procuratore è in contrasto con il governo perché non gli è stato concesso di usare l’aereo di Stato per tornare a casa nei fine settimana". Anche altri esponenti del partito hanno espresso perplessità sulla vicenda: Antonella Zedda ha parlato di "atteggiamento ambiguo", mentre Marco Scurria ha denunciato "pericolosi retroscena dietro le indagini". Secondo Alessandro Palombi, membro della commissione Giustizia alla Camera: "Se le accuse sui voli sono vere, che credibilità può avere Lo Voi? Chi ricopre ruoli di responsabilità deve servire le istituzioni, non se stesso".

Miele (CSM): "Un tempo per molto meno si parlava di macchina del fango"

Di fronte a un esposto che sollevava dubbi e interrogativi legittimi sul rilascio di un generale accusato di gravi crimini e ricercato dalla Corte Penale Internazionale, un procuratore aveva il dovere di trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri, come prescritto dalla legge. Lo afferma Domenica Miele, presidente di sezione in Corte d’Appello e consigliera del CSM, in un’intervista a Repubblica, commentando le critiche della premier Giorgia Meloni al procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, in merito al caso Almasri.

"Mi lascia profondamente stupita la virulenza con cui viene attaccato un procuratore della Repubblica, il cui unico ‘torto’, se così vogliamo chiamarlo, è stato applicare una norma costituzionale", osserva Miele.

Perché Lo Voi è finito sotto il fuoco incrociato della maggioranza? "Questo è l’aspetto più preoccupante della vicenda", risponde la consigliera del CSM. "Dopo la compatta e ferma opposizione della magistratura al progetto di separazione delle carriere, ora si prende a pretesto un atto dovuto per colpire un procuratore". Miele sottolinea anche alcuni dettagli significativi: "Ministri e parlamentari parlano di ‘anomale procedure' e ‘pericolosi retroscena', accusando Lo Voi di aver orchestrato una ‘vendetta giudiziaria' per via di un ricorso sui voli di Stato. Si sta mettendo in scena un processo sommario. Un tempo, per molto meno, si parlava di macchina del fango".

La magistrata richiama poi un precedente significativo, quello del giudice Mesiano ai tempi di Silvio Berlusconi: "Una modalità che ha fatto scuola ed è stata elevata a sistema". E ricorda altri episodi più recenti: gli attacchi alla giudice Apostolico, al presidente di sezione Gattuso e al procuratore aggiunto Musolino.

Tutti episodi che, secondo Miele, hanno un unico obiettivo: "Delegittimare i magistrati, assoggettare i pubblici ministeri al potere politico e indebolire il controllo di legalità".

Colloquio segreto al Quirinale: Meloni incontra Mattarella

La premier Giorgia Meloni ha incontrato martedì scorso, prima di pubblicare il video sui social riguardante la vicenda Almasri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come riportato da Il Messaggero. "Era il primo pomeriggio di martedì, quando un’auto blu varca l’ingresso del Quirinale, con a bordo Giorgia Meloni, attesa dal presidente Mattarella. Non si trattava di una giornata qualunque: poco prima, infatti, due Carabinieri avevano consegnato alla premier una comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, firmata dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Due ore dopo, intorno alle 17, Meloni appare in un video sui social per annunciare la notizia", si legge nell’articolo. "In quelle due ore, però, è accaduto qualcosa. Un incontro segreto, mantenuto tale da entrambe le parti. Non si sa cosa si siano detti durante l’incontro, poiché il riserbo è assoluto da entrambe le parti, come impone la consuetudine istituzionale", conclude il testo.

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