Cartabellotta (Gimbe): “Politica dica chiaramente che sanità vuole, basta privatizzazioni occulte”

Per recuperare il divario con gli altri Paesi europei sulla spesa sanitaria servirebbero “investimenti veramente consistenti e per tanti anni”, dice Nino Cartabellotta (presidente della fondazione Gimbe) a Fanpage.it. “Oppure la politica dovrebbe prendersi la responsabilità di dirlo apertamente ai cittadini che sta riflettendo su un sistema sanitario differente. La privatizzazione occulta non è una cosa bella”, ha aggiunto.
A cura di Annalisa Girardi
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"Oggi i principi fondanti del Servizio sanitario nazionale – l'universalismo, l'equità e l'uguaglianza – sono stati ampiamente traditi". Lo dice Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, in un'intervista con Fanpage.it a margine della presentazione del Rapporto sul Servizio sanitario nazionale della fondazione. Un documento che evidenzia la salute estremamente precaria del nostro Ssn, che si riflette sui cittadini. "Gli italiani quotidianamente sperimentano una serie di situazioni sgradevoli per la propria vita quotidiana e che hanno un impatto sia sulla salute sia sulle loro tasche, dai lunghissimi tempi di attesa al pronto soccorso all'aumento della spesa privata, fino alla rinuncia alle cure per chi non può permettersele".

La spesa per la sanità, ha sottolineato Cartabellotta, non ha fatto che ridursi negli anni in rapporto al crescente fabbisogno del Ssn. E questo ha finito per creare un divario consistente con gli altri Paesi europei. "Purtroppo i governi negli ultimi 15 anni hanno fortemente depotenziato la sanità dal punto di vista economico: se nel 2010 noi avevamo una spesa pubblica pro capite pari a quella della media dei Paesi europei, oggi abbiamo invece un gap di circa 800 euro a persona, che in totale corrisponde a oltre 48 miliardi. È evidente che con un indebolimento di questo tipo abbiamo strutture vetuste e abbiamo tecnologie obsolete. E, soprattutto, abbiamo un personale che si è depauperato e demotivato".

La crisi del personale sanitario – in particolare di quello infermieristico – è ormai sotto gli occhi di tutti, ha ribadito Cartabellotta, affermando di non vedere una soluzione nel breve periodo. Se, infatti, per le tecnologie e i macchinari basta investire più soldi, per il personale c'è anche un investimento in formazione da compiere. La spesa sanitaria però, ha sottolineato Cartabellotta, rimane sempre a livelli troppo bassi: "Per recuperare avremmo bisogno di investimenti veramente consistenti e per tanti anni. Comunque credo che dovremmo uscire dalla logica di quanto si mette nelle leggi di Bilancio; piuttosto si dovrebbe discutere di quanto il Paese vuole investire in sanità nei prossimi cinque anni. Oppure bisogna fare riflessioni diverse, che ovviamente non sono auspicabili: sto parlando di transitare verso un sistema sanitario differente, ma in quel caso la politica dovrebbe prendersi la responsabilità di dirlo apertamente ai cittadini. La privatizzazione occulta non è una cosa bella", ha aggiunto Cartabellotta.

Nel rapporto sul Sistema sanitario nazionale la fondazione Gimbe ha anche lanciato un appello per un patto sociale e politico al fine di rilanciare la sanità pubblica. Ai microfoni di Fanpage.it Cartabellotta ha ribadito che la tutela della salute debba prescindere sia dalle ideologie di partito, che dal succedersi dei governi: "Quello che serve oggi al Paese è un grande patto politico e sociale che esca dalla retorica di accuse e rivendicazioni su chi ha tagliato o investito di più. Queste oggi sono discussioni assolutamente inadeguate rispetto alle grandi difficoltà che hanno i cittadini, soprattutto nelle fasce socioeconomiche più fragili, che alla fine sono sempre quelle che pagano".

Infine, per quanto riguarda il progetto di Autonomia differenziata, Cartabellotta ha ribadito il suo scetticismo: "Già in commissione Affari costituzionali avevo chiesto di togliere la sanità dal disegno di legge, perché con un servizio sanitario nazionale così disastrato –  con un gap Nord Sud che oggi potremmo definire frattura strutturale – l'introduzione di maggiore autonomie (che ovviamente finirebbero per favorire le Regioni più ricche) darebbe il colpo di grazia all'unitarietà del sistema, già ampiamente compromessa".

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