video suggerito
video suggerito

Cartabellotta (Gimbe) a Fanpage: “Regioni non fanno più tamponi per paura di nuove chiusure”

“Il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive”: così il dottor Nino Cartabellotta, presidente della fondazione GIMBE, spiega a Fanpage.it perché i tamponi che vengono effettuati nella Fase 2 sono ancora troppo pochi.
A cura di Annalisa Girardi
1.980 CONDIVISIONI
Immagine

Con il pieno avvio della Fase 2 dell'emergenza coronavirus, diventa sempre più importante monitorare l'evoluzione dell'epidemia di coronavirus sul territorio, per poter intervenire tempestivamente nel caso esplodessero nuovi focolai. Visti i ritardi registrati per quanto riguarda l'indagine sierologica e il programma di tracciamento dei contatti attraverso l'app Immuni, è necessario continuare a fare affidamento sui tamponi. La fondazione GIMBE, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, ha più volte denunciato le problematiche emerse dopo la riapertura sulla propensione dele Regioni ad eseguire i tamponi. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con il dottor Nino Cartabellotta, presidente della fondazione. Ecco cosa ci ha spiegato.

La Fondazione GIMBE ha evidenziato un calo nel numero di tamponi eseguiti giornalmente con l'avvio della Fase 2. Questa riduzione è legata alla paura di non rientrare nei parametri indicati dal ministero della Salute per la riapertura e di dover di conseguenza procedere con nuove chiusure?

Sì. Per il monitoraggio dell’epidemia, a fronte dei dati ospedalieri che sono affidabili e tempestivi, il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive. Peraltro preme anche sottolineare che le indicazioni all’uso dei tamponi rimangono quelle ministeriali del 20 marzo e del 3 aprile che raccomandano di eseguirli prioritariamente ai casi sintomatici/paucisintomatici, ai contatti a rischio sintomatici e agli operatori sanitari e agli ospiti di residenze per anziani: in altre parole la fase 2 è partita senza definire una nuova policy nazionale per l’esecuzione dei tamponi.

Avete sottolineato anche ampie differenze regionali nella media di tamponi effettuati al giorno: ciò significa che il sistema di monitoraggio dell'epidemia nel Paese è incompleto?

Considerata la rilevanza della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), la Fondazione GIMBE ha aggiornato e approfondito l’analisi indipendente condotta sui dati della Protezione Civile: per valutare la reale propensione di una Regione all’attività di testing e tracing sono stati considerati solo i tamponi “diagnostici” e non quelli “di controllo”, utilizzati per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test. Dalle analisi relative alle ultime 4 settimane emergono tre dati incontrovertibili: innanzitutto, il numero medio giornaliero di tamponi diagnostici per 100.000 abitanti è incredibilmente esiguo rispetto alla massiccia attività di testing e tracing necessaria nella fase 2; in secondo luogo, la propensione ad eseguire tamponi diagnostici presenta enormi e non giustificate variabilità regionali che influenzano anche il valore di Rt incluso negli indicatori del Ministero della Salute; infine, nelle ultime due settimane solo Provincia Autonoma di Trento e Valle D’Aosta hanno potenziato in maniera rilevante l’attività di testing (e paradossalmente la Valle D’Aosta ha visto aumentare il suo indice Rt).

Il prossimo 3 giugno verranno consentiti anche gli spostamenti tra Regioni: con la libera circolazione su tutto il territorio nazionale quali sono i rischi di una gestione dell'epidemia a livello regionale?

L’emergenza coronavirus e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. La decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante. L’impatto sulla curva dei contagi delle riaperture del 18 maggio potranno essere valutate non prima del 1° giugno: dal 3 giugno, dunque, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati. È evidente che le decisioni sulle riaperture hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono.

In materia di testing e tracing, due dei pilastri che la Fondazione GIMBE ha indicato per la Fase 2, sono quindi necessarie politiche coordinate a livello nazionale?

Evidenze scientifiche e raccomandazioni internazionali puntano per la fase 2 su tre pilastri: mirata estensione dei tamponi per individuare i soggetti asintomatici (testing), strategie di tracciatura dei casi (tracing), inclusa l’app Immuni, e loro adeguato isolamento (treatment), oltre alle indagini siero-epidemiologiche per conoscere la diffusione del virus nella popolazione. Tuttavia, questi pilastri non dispongono nel nostro Paese di un’adeguata infrastruttura informativa, tecnologica e organizzativa. Inoltre, a fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia, ma solo variabili orientamenti regionali. In altri termini, per la maggior parte delle Regioni – la ricerca attiva di contagi asintomatici e la tracciatura dei loro contatti non rappresentano una priorità nonostante siano strumenti indispensabili della fase 2, peraltro richiamati dal Premier Conte nella sua informativa al Parlamento del 21 maggio. 

In mancanza di una strategia di questo tipo (3T) si baserà l'andamento della Fase 2 esclusivamente sul numero di ricoveri. Che problemi comporta ciò?

Esattamente. Dopo essere stati colti impreparati nella fase 1 senza mascherine, DPI, ventilatori, stiamo pericolosamente rinunciando a giocare d’anticipo affrontando la fase 2 con armi spuntate: considerati i clamorosi ritardi dell’app Immuni e dell’indagine siero-epidemiologica, l’unica arma a disposizione oggi sono i tamponi diagnostici. Se non si identificano, non si tracciano e non si isolano i casi asintomatici/lievi è evidente che, in caso di una risalita della curva epidemica, vedremo solo la punta dell’iceberg, ovvero l’unità di misura sarà l’incremento dei ricoveri in ospedale e in terapia intensiva. Anche questa è una strategia, ma se alcune Regioni intendono seguirla meglio renderla esplicita e smettere di fare tamponi, “tarandoli” sul numero dei casi che vogliono rendere pubblici.

Sono passati abbastanza giorni dall'inizio dell'allentamento del lockdown per calcolarne l'impatto sull'evoluzione della pandemia in Italia? Cosa ci dicono i dati?

Anche nella settimana 13-20 maggio il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE conferma sia la costante riduzione del carico di ospedali (-20,8%) e terapie intensive (-24,3%), sia il rallentamento sul fronte di contagi (+2,4%) e decessi (+3,9%). Tuttavia è bene ricordare che questi dati riflettono ancora la fase finale del lockdown: l’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio. In altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno.

Avete rilevato problemi di trasparenza in merito al monitoraggio, che nella Fase 2 è stato totalmente affidato alle Regioni? È sempre possibile accedere ai dati che indicano l'evoluzione dell'epidemia nel territorio?

La Fondazione GIMBE continua la sua rigorosa attività di monitoraggio indipendente sui siti web, conferenze stampa e social media delle Regioni. Stanno emergendo dati molto interessanti che saranno disponibili all’inizio di giugno.

1.980 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views