Carola Rackete dal Mediterraneo alla difesa della foresta: “Agiamo subito per la crisi climatica”
In Italia e nel mondo è nota per aver salvato vite nel Mediterraneo, e per lo scontro con la politica dei porti chiusi che nel 2019 si è abbattuta sulla missione di Sea Watch 3.
Come racconta nel suo libro, “Il mondo che vogliamo” (Garzanti), l’impegno da attivista di Carola Rackete nasce dai suoi studi sui cambiamenti climatici e la giustizia ambientale. E lasciato per ora il timone delle navi delle Ong che salvano vite nel Mediterraneo centrale, è tornata a occuparsi di ambiente sia come ricercatrice che come attivista. Ci siamo fatti raccontare il suo impegno e in particolare della lotta a cui ha preso parte per la difesa della foresta di Danneröder in Assia.
In Italia e non solo sei diventata uno dei simboli della lotta alle politiche europee sull’immigrazione, ma il tuo impegno da attivista nasce a partire dalle questioni ambientali e dai tuoi studi. Come sono legate le due cose?
Dal 2011 ho sempre lavorato in aree polari con il “Polar Reaserch Institute”, e poi ho portato avanti un master in conservazione naturale. Ora sono tornata a occuparmi di questioni climatiche e ambientali, soprattutto in ambito di divulgazione, sul profondo collegamento tra crisi climatica e migrazioni, che ha le sue radici nello stesso sistema di sfruttamento capitalista, colonialista e razzista.
In Europa abbiamo molti movimenti che affrontano la questione del collasso climatico e altri, di sinistra o più moderati, che si battono contro le politiche razziste e fasciste, specialmente in Italia. Spesso però queste realtà non si incontrano, e questa è una cosa su cui dobbiamo confrontarci. Sto lavorando in questo senso.
Qualche settimana fa ti sei unita alle proteste nella foresta di Danneröder in Assia. Ci racconti di questa lotta e cosa sta succedendo lì?
In Germania l’industria automobile è uno dei tre comparti industriali più grandi e impattanti dal punto di vista delle emissioni e dell’inquinamento. Nel dibattito pubblico le persone si emozionano e scaldano subito quando vengono menzionate le macchine. Circa un anno fa un’alleanza di movimenti ha iniziato a battersi per una “transizione dei trasporti”.
Tra le centinaia di chilometri di autostrada che il governo vuole costruire c’è il tratto di Danneröder, che è una foresta secolare, una delle ultime in Europa ancora sane e intatte. Qui la politica si è scontrata con l’opposizione della popolazione locale. Da circa un anno e mezzo gruppi di attivisti, assieme a cittadini della zona, hanno deciso di trasferirsi in delle case sugli alberi per bloccare il progetto, alcune a un’altezza di oltre trenta metri, altre più basse. A “Danni” ci sono – c’erano – querce di 300 anni. Sono nate molto prima dell’arrivo delle macchine, e avrebbero potuto forse prosperare anche dopo, visto che possono raggiungere gli 800 anni. Non è vero che questi alberi erano vicini alla loro “morte naturale” come è stato detto.
Si tratta di un’area protetta dall’Unione Europea. Perché il governo tedesco va avanti con questo progetto?
La Germania non ha rispettato 19 dei 20 punti dell’Accordo sulla Biodiversità, la cui perdita ha come causa la distruzione degli habitat naturali. Nonostante parte della foresta si trovasse in un’area protetta sono andati avanti con i lavori, dicendo che la costruzione della strada è di “interesse pubblico”.
Da una parte il governo tedesco si è impegnato a rispettare gli Accordi di Parigi, pensati per mettere un freno all’avanzata del collasso climatico tramite una cooperazione internazionale di ampie vedute, e dall’altra ha preso impegni con diverse compagnie per la costruzione dell’autostrada. Quali interessi vanno tutelati? Quelli delle persone con meno mezzi che già sono colpiti dalla crisi climatica, o quelli delle aziende che inquinano? Da una parte ci sono trattati internazionali che tutelano la vita, dall’altra leggi che salvaguardano l’interesse di pochi.
Cosa serve per cambiare le cose ora e subito secondo te?
È inverosimile che da un giorno all’altro i decisori politici si sveglino e cambino idea, sta a noi fare pressione, praticare la disobbedienza civile nonviolenta se necessario. È una battaglia di potere generazionale, ma è anche una battaglia per la giustizia sociale.
I governi sanno della crisi climatica, ma non agiscono. Non è questione di fare sensibilizzazione, ma di fare pressione. Abbiamo bisogno di una grande coalizione, che coinvolga giovani, migranti, lavoratori, sindacati e tutta la cittadinanza.
In un articolo su “Die Spiegel” hai parlato di una vera e propria escalation contro la mobilitazione. Attivisti in cima agli alberi e centinaia di uomini delle forze dell’ordine ad attenderli a terra. Ci sono stati sgomberi violenti della polizia. Cosa è accaduto?
Nelle ultime settimane erano presenti sul posto più di 2000 agenti, nonostante le proteste fossero completamente pacifiche. Ci sono decine di episodi documentati di violenza e abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. Il caso più eclatante si è verificato quando un poliziotto ha tagliato la corda di sicurezza di un’attivista ancora sull’albero, facendola cadere da 5 metri e provocandole la lesione di 4 vertebre. La polizia inizialmente ha smentito tutto, fin quando è stato lo stesso agente ad ammettere di aver tagliato la fune. A causa di decisioni insensate delle forze di polizia, anche altre persone sarebbero potute morire.
L’8 dicembre l’ultimo albero della secolare foresta è stato abbattuto. Cosa succede ora?
Ci vorranno anni per ultimare la costruzione dell’autostrada. Per realizzare le strade di accesso e gli svincoli di questo tratto dovranno “ripulire” altri 10 ettari di foresta. La protesta non si fermerà e anzi, diverrà sempre più estesa.
Da un punto di vista istituzionale, anche dopo gli Accordi di Parigi, poco è stato fatto. Quali sono i metodi e le strade da percorrere in questo nuovo anno?
Sulle istituzioni europee e statali c’è una grande influenza delle lobby, che pur essendo in numero esiguo esercitano un enorme potere. Manca trasparenza e mancano sistemi completamente democratici di dialogo con i cittadini. C’è bisogno di aumentare la possibilità di partecipazione alla vita politica per le persone comuni.
In Francia, dopo le numerose proteste, sono state istituite e autorizzate assemblee pubbliche, importante espressione di democrazia partecipativa. Sei mesi di confronto e discussioni hanno portato all’approvazione di misure molto più ambiziose rispetto a quello che si sarebbe mai potuto fare in parlamento.
Non è dalle opere di buona volontà ma dagli spazi di dialogo, dalla forza e unità dei movimenti internazionali che si arriva a un cambiamento.