Caro Marco Travaglio,
ho letto il suo articolo di oggi in difesa dell'inchiesta fatta da Beatrice Borromeo. Ho letto un articolo di un vice-direttore che, giustamente, difende il lavoro di una collaboratrice, ma ho anche letto un pezzo ricolmo di livore. Un livore senza senso. Anzi, peggio, un livore fascista. Sì, caro Travaglio, perché di fascismo si tratta. Dire a chi dissente, a chi osa criticare, che la "merda deve essere ricacciata in gola" è quanto di più fascista ci sia. Criticare è un atto lecito. Criticare, dissentire, è l'essenza della democrazia. Ma, ancor di più, criticare è l'essenza della crescita di una società.
Le premetto, non sono tra quelli che hanno commentato il lavoro della Borromeo e per questo mi sento libero di scriverle senza subire il pregiudizio di dovermi difendere.
Nelle sue parole si respira reazione e non illuminismo. E non c'è bisogno di scomodare François-Marie Arouet per ricordarle che essere "illuminati" – e il suo giornale vuole esserlo – presuppone "prendere le parti" anche di chi non la pensa come noi. Essere "illuminati" vuol dire sedersi a dialogare con altre idee, con altri pensieri. Perché non è rimanendo convinti di essere "nel giusto" che la società cresce.
Lei è stato tra i primi ad affacciarsi con lungimiranza alla rete mostrando il suo volto nei Passaparola di Grillo, lei ha sperimentato cosa sono gli osanna di un pubblico pronto ad acclamarla e l'astio dei detrattori. Perché la rete è anche questo. La rete è critiche, elogi, montagne russe del consenso. E' il "web bellezza".
Il web, come tutte le piazze, come tutti i bar, come tutti i luoghi in cui si incontrano le persone non è altro che lo specchio delle pulsioni. Ora, quelle pulsioni sono palesi, sono evidenti anche a chi, prima, non sapeva coglierle o non voleva vederle. Sono palesi alle élite (che termine orribile) che nel corso degli anni hanno definito il proletariato: popolino, borgatari, popolo del web. Termini razzisti usati per sottolineare che "io so io e voi non siete un c…". Credersi migliori, sedersi un gradino più in alto è il germe della cultura razzista e fascista. La "rivoluzione del web" è il suo opposto. La rivoluzione del web è "la grande banalità", perché non cambia ciò che esiste, lo mostra. E non c'è nulla di nuovo in questa umanità che espone oltre le pareti di casa propria i suoi pregi e i suoi limiti .
Credere che tutti debbano essere d'accordo con quello che facciamo, che chi non lo è debba essere punito, è fascismo. E' il fascismo della masse osannanti, è il fascismo del pensiero unico. E' il fascismo di chi crede di essere detentore della verità e, per questo, di avere il compito storico di "educare il popolo".
Questo fascismo culturale è il motivo per il quale l'Italia non si emancipa. E' il motivo per il quale l'Italia resta un paese immaturo, in cui il popolo preferisce delegare la responsabilità – e il pensiero – ad un uomo solo. E' il motivo per il quale un uomo solo decide cosa sia "violenza verbale" e cosa non. Anzi, nel suo caso, lei non solo ha deciso di definire – in maniera autonoma – il perimetro della "violenza verbale" ma si è anche eretto a giudice ed esecutore di una condanna, la cui pena consiste nel "ricacciare in gola la merda".
E' l'intero concetto di democrazia che salta nel suo ragionamento. Salta l'idea che sia un organismo terzo a definire cos'è reato, salta il concetto che sia ancora un altro organismo a decidere la pena. Lei ha usato lo stesso metro che Berlusconi utilizzò con Luttazzi, Santoro e Biagi. Fu Berlusconi a decidere quale fosse il perimetro oltre il quale non si poteva esercitare il dissenso e fu sempre Berlusconi a decretare le forme e i tempi della condanna.
Caro Travaglio ma lei si è comportato come il suo storico avversario. Ha mostrato una provenienza culturale comune. Mi spiace caro Travaglio ma dell'ennesima deriva fascista davvero non se ne sentiva il bisogno.