Il paragone è immediato, scontato e, certo, anche ingeneroso: le risate di Nichi Vendola sulla questione Ilva e quelle della cricca degli appalti de L'Aquila nel post terremoto. Ingeneroso, ma inevitabile, perché (e nelle more di un abbozzo di spiegazione) se è vero che il riferimento non era certo all'Ilva ma ad un episodio (peraltro, che c'è da ridere davanti all'arroganza nei confronti di un giornalista?), allo stesso tempo il contrasto fra l'atteggiamento del Governatore ed il dramma di una intera città è disarmante, spiazzante.
E c'è anche di peggio. Perché più delle risate è quel tono dimesso, ossequioso, servile a farci riflettere ed inquietare. Sì, servile. Quello di chi si preoccupa di "far sapere di essere a disposizione", di chi vuole che il boss sappia che "non mi sono defilato" (anzi, in terza persona, che "il Governatore non si è defilato), di chi si sente di dover dare spiegazioni e giustificazioni. E poi c'è la confidenza, che rivela un intreccio di relazioni che non dovrebbe aver nulla a che fare con una gestione seria e trasparente della cosa pubblica. Certo, siamo in Italia si dirà. E certo, non c'è nessun reato, ribatteranno i fedelissimi. Eppure in molti avevano creduto ad una "narrazione diversa", quella della politica che domina, governa ed indirizza i processi. E che non è succube dei vecchi potentati economici. Anche, anzi soprattutto nel Mezzogiorno. Invece, davvero, non c'è nulla da ridere.