Qualche mese fa Silvio Berlusconi, parlando della sua vicenda politica, disse che i suoi figli "si sentivano come gli ebrei nella Germania di Hitler", provocando polemiche e una immediata ondata di indignazione. Per noi si trattò evidentemente "dell'ennesimo insulto al vento, di un riferimento assurdo, inutile, senza pudore al genocidio frutto della follia dell'uomo". Non era una questione da moralisti o bacchettoni, ma questione di decenza minima, di capire che ci sono confini oltre i quali la speculazione politica non può e non deve spingersi.
Oggi è Beppe Grillo ad abbassare ancora il livello dell'asticella della decenza. Con una speculazione indecente, con un paragone indegno, con una provocazione inutile. Che è tanto più grave perché arriva in campagna elettorale e mischia il disagio delle persone con giudizi di ordine morale, confonde "l'omaggio storico" con la speculazione politica e utilizza a meri fini di consenso parole che sono una delle più forti testimonianze della resistenza dell'umanità di fronte alla follia di una ideologia feroce.
Non si tratta di moralismo d'accatto ma di porre un argine alla propaganda, una barriera ideale e concettuale di fronte alle speculazioni da campagna elettorale. E soprattutto di immaginare che esista anche un approccio diverso alla politica, meno rancoroso e manicheo, quello di chi preferisce il confronto ed il dibattito all'adesione alla verità assoluta, quello di chi preferisce i compagni di viaggio ai messia (sotto qualunque bandiera, tricolore, stellata, rossa o adorna di foglie d'ulivo essi siano). Di immaginare un Paese in cui Primo Levi sia citato nelle piazze e nelle scuole, non nei comizi. Perché quei versi, quelle parole, il senso stesso del messaggio, appartengono a tutti e delimitano il campo dell'umanità. Non una fazione in lotta.