Carceri sovraffollate, aggressioni e più detenuti giovani: nel 2025 sono già 8 i suicidi accertati
“Non si può continuare così. Le bestie sono trattate meglio”, con queste parole, Roberta Zecchini, insegnante nel carcere di Verona, sintetizza una situazione che sta raggiungendo livelli drammatici. Il 2024 si è chiuso con un tragico record: 90 suicidi tra le persone detenute, il numero più alto mai registrato nella storia recente. E il 2025 non sembra promettere meglio: in Italia si contano già ben 8 suicidi. L’ultimo risale a pochi giorni fa, il 20 gennaio scorso nella cella della Casa Circondariale di Cagliari- Uta.
Dal 1° gennaio, tra i detenuti, 3 suicidi a Modena, 2 a Cagliari, 1 a Paola, 1 a Regina Coeli, 1 a Sollicciano, 1 alla Rems di Avellino, oltre ad 1 operatore penitenziario sempre a Paola.
Secondo il rapporto di Ristretti Orizzonti, il giornale del carcere di Padova e dell’istituto femminile di Venezia che dal 1992 raccoglie i dati proprio su questo fenomeno, nel 2024 il tasso di suicidi tra i detenuti è di 14,7 ogni 10mila persone, cioè venti volte superiore a quello della popolazione generale, che si ferma invece a 0,74 ogni 10mila abitanti.
Questi dati allarmanti sollevano interrogativi sulla capacità del sistema penitenziario italiano di garantire condizioni di vita dignitose e, soprattutto, sulla sua funzione rieducativa.
Verona tra le carceri con il maggior numero di suicidi nel 2024
“Il carcere è un ambiente davvero pesante, sopra ogni altra immaginazione”, racconta Zecchini a Fanpage.it, sottolineando come Verona, insieme a Genova, Napoli e Prato, sia tra le carceri con il maggior numero di suicidi solo nel 2024.
Secondo Zecchini, il carcere è una realtà difficile per tutti, non solo per i detenuti ma anche "per gli operatori, per chi come me si occupa della scuola, per la polizia penitenziaria che ci lavora”.
La docente evidenzia poi anche il fatto che molti educatori o professori come lei, che lavorano in carcere, spesso si trovano ad affrontare un ambiente per il quale non sono assolutamente preparati: “non esiste una formazione specifica per chi insegna in carcere. Non vengono offerti percorsi mirati: per chi lavora nella scuola, si finisce a lavorare nelle carceri semplicemente perché si è in graduatoria. Certo, uno può rifiutare, ma se dici di no, vieni depennato. Così molti accettano per necessità, anche senza sapere a cosa andranno incontro. E lavorare in carcere può essere davvero molto duro”.
La professoressa ricorda poi le iniziative passate, come le visite dei ragazzi delle scuole esterne: “Un’esperienza educativa per tutti. I giovani potevano incontrare i detenuti e capire che non sono certo alieni, ma ragazzi, proprio come loro. Questo li spingeva a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, su cosa significa davvero perdere la libertà. Come quando, per fare una cosa semplice come andare in bagno, devi chiedere il permesso”.
Un altro aspetto molto critico è l'aumento dei giovani incarcerati, conseguenza del decreto Caivano. È di pochi giorni fa la pubblicazione del nuovo rapporto di A Buon Diritto, che fotografa una realtà preoccupante nelle carceri italiane, con particolare attenzione agli istituti penitenziari per minori: al 30 aprile 2024, si legge, sette dei 17 istituti minorili registravano un sovraffollamento, ospitando molti più giovani detenuti rispetto alla capacità prevista. “Mandare un ventenne in prigione è devastante. Come possiamo aspettarci che questi giovani escano migliori?", ha dichiarato Zecchini, che ha poi terminato "Non è certo costruendo nuove carceri che si riducono i reati. Eppure questo è quello che si sente dire. Si parla solo di mettere le persone in piccole scatole, che siano giovanissimi o adulti, per poi dimenticarsene, non si investe su educatori, su strumenti per il reinserimento, sulla scuola, o sul lavoro. Li dimentichiamo lì e buttiamo via la chiave”.
Il carcere di Modena conta già i primi suicidi nel 2025
Ad aver sollevato forti preoccupazioni sulla situazione delle carceri italiane, è stata anche l'Onorevole Maria Cecilia Guerra (Pd) che, a seguito dell'ennesima notizia di suicidio nella casa circondariale Sant'Anna di Modena, ha deciso di visitarla insieme a Stefano Vaccari (Pd) ed Enza Rando (Pd).
L’onorevole Guerra ha denunciato a Fanpage.it le gravi carenze e disfunzioni del sistema carcerario, con particolare riferimento alla casa circondariale di Modena, dove il sovraffollamento e l’inadeguatezza delle risorse compromettono il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e degli operatori; condizioni disumane di estrema sofferenza psicologica e fisica che spesso portano i detenuti a minacciare o tentare il suicidio: "Il problema è che tutto quello che le normative prevederebbero non viene rispettato, non per la volontà della gestione del carcere, ma perché c’è un carcere che dovrebbe essere una casa circondariale, e quindi una casa che ospita persone che non hanno ancora una condanna definitiva, che dovrebbe ospitare circa 320 persone e che ne accoglie invece 570. È una situazione insostenibile. Tutti i parametri saltano".
Guerra evidenzia come il sovraffollamento non solo violi le normative europee che prevedono tre metri quadrati di spazio minimo per detenuto, ma renda poi anche impossibile garantire le attività rieducative previste dalla Costituzione: "Non c’è personale sufficiente né spazi adeguati per interventi essenziali, come la disinfestazione. Molti detenuti convivono con cimici nei materassi", aggiungendo che “per fare la disinfestazione tu devi poter liberare le celle, non tutte in un colpo ovviamente. Il problema è che manca lo spazio per farlo, non c’è posto. Quindi ci sono moltissime persone che devono convivere con le cimici nei materassi. Ma la pena non deve e non può essere tortura e disperazione ma, una volta scontata, deve condurre a una concreta possibilità di reinserimento sociale. Ciò che manca davvero sono le risorse, quelle necessarie per garantire un trattamento che non sia disumano".
Guerra spiega che queste condizioni non solo violano i diritti umani, ma si applicano anche a persone in attesa di giudizio, che rappresentano una parte significativa della popolazione carceraria e sottolinea poi che, a causa dell’eccessiva lentezza burocratica e della mancanza di risorse, anche richieste fondamentali, come la possibilità di essere accompagnati in ospedale o ricevere cure adeguate, subiscono ritardi di mesi, aggravando ulteriormente la sofferenza dei detenuti.
I detenuti non riescono a comunicare con le famiglie
La situazione è particolarmente critica anche per quanto riguarda il diritto dei detenuti di mantenere contatti con l’esterno: a Modena, per esempio, molti detenuti stranieri, che rappresentano circa il 60% della popolazione carceraria, non riescono a comunicare con le loro famiglie a causa della mancanza di linee telefoniche sufficienti e dei lunghi ritardi nell’ottenere autorizzazioni per ampliarle: "togliere a queste persone i propri legami, che permettono di resistere a una condizione che è, per tutte le persone ovviamente, molto difficile da affrontare, chiaramente crea ancora più disperazione, rabbia e rischi", ha raccontato Guerra, aggiungendo che "in tutto ciò la scarsità di personale è evidente, non solo tra le forze dell’ordine, ma anche in ambito sanitario ed educativo".
L'onorevole ha poi concluso chiedendo alle forze politiche, tutte, di prendere atto della gravità della situazione e di agire con urgenza, per garantire condizioni di vita dignitose ai detenuti e agli operatori penitenziari, affinché la pena non diventi solo disperazione, ma un’opportunità di riscatto e reintegrazione nella società.
I dati di Antigone
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, in un’intervista a Libero, risalente al 28 dicembre scorso, aveva dichiarato che il fenomeno dei suicidi non era strettamente correlato al sovraffollamento, ma piuttosto alla solitudine, al dolore, alla mancanza di prospettive. Tuttavia, secondo il Garante nazionale dei detenuti e secondo gli ultimi dati pubblicati dall’associazione Antigone, il sovraffollamento ha invece un peso ben significativo. I dati pubblicati pochi giorni prima delle dichiarazioni dello stesso Nordio, risalenti al 16 dicembre 2024, raccontavano un quadro catastrofico: i detenuti nelle carceri italiane erano 62mila, mentre i posti realmente disponibili si fermavano a circa 47mila, portando il tasso di sovraffollamento al 132,6%. In strutture come quella di San Vittore, a Milano, per esempio, il sovraffollamento superava il 225%.
A Fanpage.it Antigone ha dichiarato che oltre al sovraffollamento a pesare c’è anche "la crescente chiusura del carcere, il passaggio quasi generalizzato dalle sezioni aperte alle sezioni chiuse, e anche la mancanza da parte della politica, nazionale e locale".
Nel suo ultimo report, l’associazione ha rilevato che solo nel 2024 ci sono stati oltre 20 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti, insieme a un aumento di aggressioni tra detenuti personale. Nel report di Antigone si legge poi che la tragedia colpisce soprattutto i giovani, con almeno 23 vittime tra i 19 e i 29 anni, e le persone straniere, che rappresentano almeno 40 dei casi registrati.
Per Antigone "mancano i mediatori e gli educatori, i direttori non bastano, mancano i medici e il lavoro e la formazione professionale sono inadeguati. Va fatto un salto di qualità se si vuole sperare che il carcere possa davvero servire a qualcosa". La pena, “deve avere un senso, per chi la sconta e per chi, fuori dal carcere, la finanzia con le proprie tasse" e, come ha dichiarato l'associazione "deve dare opportunità di cura, di formazione e di reinserimento. Bisogna che, chi ha scontato la propria pena, non torni a delinquere, a danno di tutti e tornando ad affollare il sistema in un circolo sempre più vizioso. E quando è più facile ottenere questi risultati con le pene alternative, anziché con il carcere, bisogna farlo con convinzione. Perché una società più giusta e più sicura è un vantaggio per tutti”.