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Carceri, Antigone: “Emergenza gravissima, servono misure radicali e il governo non fa abbastanza”

“Contro l’emergenza carceri ci aspettavamo risposte adeguate, ma il governo nel frattempo continua a introdurre nuovi reati e ad alzare le pene”, lo dice, in un’intervista a Fanpage.it, Alessio Scandurra, responsabile dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni dei detenuti presso l’Associazione Antigone.
A cura di Giulia Casula
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In Italia le carceri sono al collasso. Il numero delle persone detenute ha oramai superato le 61mila, a fronte di una capienza decisamente inferiore (si parla di almeno 10mila posti in meno).

Come conseguenza di ciò, il tasso di sovraffollamento ha toccato il 131%, mentre i dati sui suicidi e sulle rivolte hanno mostrato una drammatica impennata. "È da diverso tempo che siamo sopra i 61mila detenuti e l'impatto di tutto questo si vede dalla cronaca. Gli effetti sono sono suicidi e le proteste, le rivolte", dice, intervistato da Fanpage.it, Alessio Scandurra, coordinatore dell'Osservatorio sulle condizioni dei detenuti all'interno dell'Associazione Antigone

"È una situazione oggettiva, che si presume dai dati, però probabilmente non è determinata solo da questo. Nel senso che questi numeri li abbiamo avuti anche in passato e non sono stati momenti facili, però al tempo stesso non si registravano un tasso di suicidi e un numero di proteste così alto. È evidente che ci sia una difficoltà del sistema penitenziario a reggere la situazione di criticità", prosegue il responsabile.

Tra i problemi principali ci sono la carenza di organico, l'assenza di personale sanitario e la difficoltà a trovare medici, diventati ormai una risorsa molto scarsa. "La situazione è complicata e gli indicatori ce lo confermano con con grande evidenza".

I numeri finora restituiscono un quadro pericolosamente simile a quello del 2013, quando la Corte europea dei diritti dell'uomo condannò l'Italia per le condizioni delle sue carceri, con l'ormai nota sentenza Torreggiani. "La Cedu ci sanzionò per la grave situazione del sistema penitenziario, ma anche per il fatto che l'Italia non aveva un rimedio giurisdizionale che risarcisse i detenuti", ricorda il responsabile.

Un vuoto che costringeva i detenuti a rivolgersi direttamente a Strasburgo. "Ora il rimedio c'è e in qualche modo funziona. Ogni anno migliaia di giudici italiani risarciscono – nella forma di un esborso in denaro o di uno sconto di pena – migliaia di persone per essere stati detenuti in condizioni disumane degradanti", spiega.

Mentre i dati sui risarcimenti finanziari, decisi dai Tribunali civili, non sono disponibili, quelli sulle riduzioni di pena mostrano un quadro allarmante. I ricorsi accolti in sede civile, infatti, solo oltre 4000 l'anno. "I numeri della Torreggiani erano orientativamente questi quando l'Italia è stata condannata. Si parlava di circa 4000 ricorsi pendenti. Ora la situazione è analoga, solo che quando fu l'Europa a condannarci fece molto rumore. Oggi ci condanniamo da soli ma nessuno si sconvolge", dice Scandurra.

Intanto, venti giorni fa il decreto Carceri è diventato legge. Alcune misure, come l'aumento delle telefonate, da 4 a 6, e una semplificazione delle procedure per ottenere la liberazione anticipata, hanno fatto parlare di sé più di altre. "È un po' buffo. Questo intervento tocca due temi centrali: la liberazione anticipata e la questione delle telefonate. Peccato che lo faccia in maniera eccessivamente cauta, sproporzionata e inadeguata rispetto alla situazione", osserva il responsabile. "I contatti con i propri cari effettivamente aiutano però, portare le telefonate da 4 a 6, quando quelle straordinarie accordate ai detenuti viaggiavano già su questi numeri, ha un impatto molto limitato".

Sul rilascio anticipato, inoltre, non sembra essere ancora chiaro che portata avrà questa modifica procedurale. "Da Antigone avremmo preferito un aumento significativo della durata. L'emergenza è gravissima e bisogna rispondere con misure altrettanto radicali e impattanti, sennò è chiaro che la risposta non è adeguata e questa non lo è", insiste.

"Ci aspettavamo un aumento, a 75 giorni, della liberazione anticipata. Non chiedevamo molto, ma questo è un governo che nel frattempo continua a introdurre nuovi reati e ad alzare le pene. Tutte iniziative che porteranno all'aumento della popolazione detenuta. Onestamente non è che ci aspettassimo delle risposte all'altezza della situazione". Come fanno notare anche da Antigone infatti, attualmente è in corso di discussione un disegno di legge sulla sicurezza che punta a introdurre ulteriori misure restrittive e nuovi reati, come quello di rivolta penitenziaria.

Eppure il ministro della Giustizia ha più volte sottolineato la necessità di ‘umanizzare il carcere‘. "Evidentemente la maggioranza ha le idee molto chiare. Nordio magari meno, ma da solo non ha la forza di portare la nave in un'altra direzione. I risultati sono, nella migliore delle ipotesi, confusi", ribatte Scandurra.

Da un punto di vista culturale poi, spesso il riferimento di una certa parte politica, quando si parla di liberazione anticipata, è stato quello di svuota-carceri. "È un appellativo che negli anni è stato usato per descrivere cose diversissime tra loro. Oggi c'è una situazione di emergenza che richiede una risposta straordinaria. Bisogna ragionare su un intervento di sistema che faccia scendere un po' i numeri delle presenze. È assolutamente indispensabile", sottolinea.

"Oggi il nostro è comunque un sistema che prevede una pluralità di sanzioni penali. Il carcere è una delle pene ma esistono tante misure alternative che hanno mostrato di funzionare molto bene, anche in termini di garanzia di sicurezza ai cittadini. Non si tratta tanto di svuotare le carceri, ma piuttosto di sfruttare questi strumenti", dice ancora.

Secondo il responsabile esiste un problema di fondo su cui la politica finora non si è ancora soffermata. "Il sovraffollamento penitenziario è fatto in gran parte di persone che in carcere ci tornano per la seconda, la terza, la quarta volta. Pertanto è anche il fallimento del carcere l'origine del sovraffollamento. E cioè che i percorsi di reinserimento non funzionano", osserva. "È un cane che si morde la coda. Questo produce insicurezza per tutti noi. Spezzare il circolo vizioso è fondamentale".

Questa situazione riguarda i detenuti, ma anche il personale penitenziario. Solo nell'ultimo anno sono in tutto sei gli agenti che si sono tolti la vita e in generale, l'organico, da tempo sottodimensionato, è allo stremo. "Negli ultimi tempi sono state fatte iniziative per rimpolpare un po' i numeri ma non sono sufficienti. Non sono bastate le assunzioni di nuovi direttori e vicedirettori negli ultimi anni e neanche l'assunzione di nuovi educatori perché le piante organiche non sono state coperte. In più se pure fosse accaduto, avremmo comunque un educatore ogni 60-70 detenuti, il che è una follia", afferma.

Per Scandurra, "bisogna investire di più. D'altronde il carcere è una misura costosa, però è un sistema che non può fare più danni di quelli che spera di risolvere. Non si può pensare che la gente esce dal carcere più malmessa di come era quando vi è entrata", ribadisce.

Dal governo ci si aspetta che le nuove misure adottate produrranno i loro effetti nel giro di pochi mesi, ma la previsione non sembra convincere chi da più di vent'anni si occupa dei diritti dei detenuti. "Temo che non ci saranno effetti visibili. In più, negli ultimi 12 mesi, il sistema penitenziario italiano, ha perso una settantina di posti detentivi di capienza regolamentare. È dal primo giorno di governo che si promette nuove carceri e nuovi posti", dice Scandurra. "La verità è che i problemi sono sul tavolo e rispondere con le parole è anche doveroso perché non è non si può girare dall'altra parte, però è pure facile farlo. I fatti per ora non si vedono. È inutile negarlo. Ci auguriamo che arrivino", conclude.

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